Orson Welles – Davanti alla legge

di Alberto Brodesco

i.
“Siamo ricondotti al paradosso cruciale del Reale il quale, lungi dall’essere semplicemente l’In-sé inaccessibile, è simultaneamente la Cosa-in- e l’ostacolo che impedisce l’accesso alla Cosa-in-” (Slavoj Žižek, Meno di niente. Hegel e l’ombra del materialismo dialettico).

ii.
Orson Welles apre il suo Processo (Le Procès, 1962) raccontando e mostrando il celebre apologo kafkiano Davanti alla legge. Il regista commissiona l’illustrazione del racconto all’inventore della tecnica dello schermo di spilli Alexandre Alexeieff. Una serie di diciotto quadri mette in scena quello stallo lungo quanto una vita.

iii.
Il racconto è narrato dalla voce di Orson Welles. Come ne L’orgoglio degli Amberson (The Magnificent Ambersons, 1942), essa appare prima di qualsiasi personaggio. Il regista anticipa il racconto all’inizio del film, per poi riprenderlo e rimodularlo anche nella scena ambientata all’interno della cattedrale dove appare nel libro.

iv.
Del confronto tra guardiano e viandante le illustrazioni con lo schermo di spilli restituiscono immagini grigiastre, a bassa definizione. Marshall McLuhan l’avrebbe definito un medium freddo. Anche in questo caso, come McLuhan insegna, l’attrazione per l’occhio esercitata dalla bassa definizione sta nel fatto che rimane allo spettatore il compito di completare l’immagine, in perfetta risonanza con l’enigma costituito dal racconto di Kafka.

v.
La tecnica dello schermo di spilli combina semplicità e sofisticazione: è primitiva, così come l’opera che genera, ma richiede pazienza, precisione, lavoro, uno sforzo che sembra perdersi o volatilizzarsi in un prodotto finale incerto. Una tecnica fondata sull’evanescenza dell’oggetto illustra un racconto il cui senso continua da un secolo a sfuggire a ogni tentativo di cattura.

vi.
Tutto si colloca sotto il segno della vanità e dello spreco: vanità, spreco di vita da parte del viandante; vanità, spreco di vita da parte del guardiano, custode di una porta ad personam che non sarà mai varcata da colui che ne è titolato; e poi, a livello rappresentativo, vanità del tentativo di Alexeieff e Welles: nonostante la tensione artistica li spinga a sfidare con il loro genio visivo quel racconto, entrambi sembrano in definitiva arrendersi all’impossibilità di rappresentarlo o semplicemente “vederlo”.

vii.
Anche il tempo di riflessione cui questo apologo costringe il lettore e lo spettatore sembra porsi sotto il segno dello spreco – Medusa letteraria che paralizza davanti alle porte dell’interpretazione.

viii.
Nella parte ambientata nella cattedrale il film ritorna davanti alla legge. Joseph K. si confronta con il suo avvocato, il quale gli narra la storia del viandante e del guardiano. K. la conosce già e lo dimostra all’avvocato, completando egli stesso il racconto. K. vorrebbe dare per risaputa la parabola, ma non è possibile, e lui lo sa, essendo una storia che cambia a ogni ascolto.

ix.
Mentre Davanti alla legge viene di nuovo evocato, un proiettore riproduce le immagini di Alexeieff mostrate in apertura, sovrapponendole agli spazi della cattedrale e al corpo stesso di Joseph K. La parabola viene applicata al protagonista del Processo sia a livello di enunciato (l’avvocato esplicita verbalmente la pertinenza del racconto rispetto alla vicenda di K.) che di enunciazione (la figura di K. è intrappolata in quelle immagini).

x.
Installazione, performance, compressione degli spazi tra le arti. Come nel labirinto di specchi de La signora di Shanghai (The Lady from Shanghai, 1947) il gioco di rifrazioni disorienta e affascina.

xi.
Il ritorno delle illustrazioni di Alexeieff ha di nuovo a che fare con la loro evanescenza. Ma qui cambia la chiave di lettura, non c’è più niente di vano e di inutile. Si tratta di un mistero che descrive con precisione la ragnatela fragile ma tenace che intrappola Joseph K. Il paradosso interno al racconto non appartiene solo alla forma del sogno – come sostiene Orson Welles nel commento che segue la sua prima lettura della parabola –, ma espone in modo razionale e incomprensibile la trama della realtà. Non per niente, nella citazione che apre queste note, Slavoj Žižek si sta riferendo alla meccanica quantistica.

xii.
Se Kafka riesce problematicamente ad accettare il dato di una realtà che concede cittadinanza al paradosso, Orson Welles non lo consente. Il suo finale anti-kafkiano mostra un’esplosione che fa saltare in aria non solo K. ma anche quel suo mondo da incubo.

xiii.
Agli occhi di Orson Welles il guardiano della porta della legge può certo assumere la familiare fisionomia del produttore cinematografico.

xiv.
La grande domanda di Quarto potere (Citizen Kane, 1941): questo è ciò che Kane (K.) ha fatto. Ma chi era? È una domanda solo apparentemente meno kafkiana di quella del Processo: questo è ciò che K. non ha fatto. Ma chi era?

xv.
1915-2015: centenario della nascita di Orson Welles e della prima pubblicazione di Vor dem Gesetz.

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mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot (Vicenza, 1981) ha pubblicato Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), La bella e la bestia (Di là dal Bosco, Le voci della Luna 2013), Dove accade il mondo (Mountain Stories 2014-2015), Eppure restava un corpo (Yellow cab, Artecom Trieste, 2015), Nel bosco degli Apus Apus ( I muscoli del capitano. Nove modi di gridare terra,Scuola del libro, 2016), Il fantasma dell'altro – Dall'Olandese volante a The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge (Sorgenti che sanno, La Biblioteca dei libri perduti 2016). Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato ad esposizioni collettive. Ha collaborato alla rivista scientifica lo Squaderno, e da settembre 2014 è redattrice di Nazione Indiana. Aree di interesse: esistenza.