Come sono diventato terrorista

di Salem

Questa storia risale a otto anni fa. Ho trentatré anni e non ho fatto scelte giuste allora. Quando ci penso, sento che in quel periodo ero lontano dal mio modo di essere e di pensare, dalla mia personalità, dai valori con cui sono cresciuto e da tutto quello che avevo vissuto in tutta la mia vita. Voglio raccontare come e quando sono approdato a quelle idee che, mi pareva, restituissero, a me e al mio popolo, l’orgoglio di appartenere alla sacra e giusta religione musulmana. Ero arrivato a pensare che chi non seguisse questa linea di pensiero era come se non esistesse e non meritasse di esistere. Nel 2005 mi sono trovato in un carcere del mio paese, la Tunisia, condannato a dieci anni di reclusione. Forse sette me li meritavo, ma credo gli altri tre mi sono stati dati ingiustamente.
Allora c’era tanta ingiustizia e per i giudici era indifferente attribuirti anche reati non commessi. Soprattutto se appartenevi alla classe lavoratrice che spesso non riusciva a guadagnarsi il pane quotidiano. Ma non era la povertà o l’indigenza che rendevano la nostra vita un inferno, anche se le difficoltà erano ingenti: noi ringraziavamo sempre Dio per il poco che avevamo e nutrivamo speranza nel futuro.
Erano inaccettabili, invece, la prepotenza, l’ingiustizia e lo sfruttamento di chi usava il potere con cattiveria: per questo la nostra vita era un inferno.
Così mi sono trovato nello strano mondo del carcere. Non era la prima volta per me, ma stavolta ho conosciuto a fondo quanto fosse spaventoso e duro. Dovevamo subire le prepotenze dei carcerieri. I loro bastoni colpivano tutti: piccoli, grandi, deboli e forti. Potevi solo rivolgerti a Dio. Così cominciò la mia trasformazione. Mi ero stancato delle ingiustizie subite da me e dagli altri. Avevo nausea delle torture, corporee e psicologiche. Erano insopportabili. Rattristava il cuore il solo fatto di vederle e sentire le lamentele dei torturati. Figurati quando tutto lo subivi tu sul tuo corpo. Dentro quel carcere ho trovato persone che mi davano ascolto. Le vedevo rivolgersi a Dio con preghiere giornaliere. In loro ho trovato una via di fuga dai miei misfatti e ho cominciato pian piano ad avvicinarmi e mischiarmi con loro anche se la cosa presentava molte difficoltà, visto i controlli rigidi dei nostri carcerieri. Loro stessi erano molto diffidenti. Comunque pian piano ero riuscito a scalfire la loro diffidenza e a guadagnare un po’ di fiducia. Insistevo a volermi avvicinare a loro perché mi dicevo che se non fossero stati nel giusto e le loro idee non fossero state corrette non ci sarebbe tutto questo interesse nei loro confronti. E se fossero stati insignificanti allora perché tutta questa paura di loro? Tutte queste considerazioni hanno fatto sì che la mia curiosità crescesse progressivamente spingendomi ad avvicinarmi a loro e alle loro idee ogni giorno di più. Il mio avvicinarmi a Dio era per loro come un visto per essere ammesso nella loro ristretta cerchia. Sentivo che Dio non era contento di me e ho trovato l’occasione per pregarlo, per leggere di più il Corano, fare il digiuno e tutto quello che avrebbe accontentato di me il mio Dio. Tutto questo mi faceva dimenticare le condizioni e il posto in cui mi trovavo. La mia posizione dentro la loro cerchia si rafforzava sempre di più. Cresceva anche il nostro comune odio verso i carcerieri e verso i motivi che ci avevano portato lì, ma soprattutto verso quel governo maledetto e i suoi complici nella tortura della gente. Odiavamo anche quelli che mancavano ai loro doveri verso Dio.
La mia mentalità cambiò radicalmente. Addirittura ero convinto che solo questi miei nuovi “fratelli” erano nel giusto. Mai mi veniva il minimo dubbio sulla giustezza e veridicità della loro/nostra causa. Mi avevano inculcato l’idea che tutti quelli che deviavano della legge di Dio e dalla sua sharia meritavano la morte per decapitazione. Sono arrivato al punto che quando ricevevo visite dai miei famigliari facevo loro richieste strane e bizzarre dette da me, vista la vita che facevo prima: insistevo che cambiassero il loro modo di vestirsi e sono arrivato al punto di ordinare a mio padre di lasciare il suo lavoro di venditore di sigarette in un chiosco perché, gli dicevo, le sigarette fanno male alla salute e tutto quello che fa male è peccato. Addirittura ho cominciato a considerare mio fratello come un nemico da combattere a uccidere solo perché faceva il poliziotto. Ero diventato come una bomba umana pronta a esplodere in qualsiasi posto e momento e ho cominciato a pensare e a considerare che, se la mia morte fosse avvenuta in un altro modo, sarebbe stata una morte da codardi. Mi hanno fatto il lavaggio del cervello e mi hanno inculcato l’idea che l’Islam fosse questo. Sono arrivato al punto di attendere la mia uscita dal carcere solo per poter raggiungere i fratelli nella terra del jihad.
Nel 2011, grazie alla rivoluzione dei gelsomini in Tunisia per rovesciare il governo sono uscito dal carcere avendo avuto uno sconto di pena. Mi sono ritrovato con nuovi amici, nuovi principii, idee radicali e nuove relazioni. I miei famigliari hanno notato questo mio radicale cambiamento. Mio padre e mia madre, musulmani praticanti che non mancavano mai a nessun dovere religioso, non erano d’accordo, anzi, erano terrorizzati da questo mio cambiamento e hanno subito informato il maggiore dei miei zii, imam nella moschea del quartiere. Lo zio guardava male questo mio modo di pensare, era totalmente contrario e diffidava di quelli che predicavano l’odio e manipolavano i giovani. Mi disse: «Questi non hanno niente a che fare con l’Islam. Sono solo terroristi, e questo loro modo di pensare sta sfregiando l’immagine dell’Islam, per colpa di questi terroristi ignoranti del vero significato dell’Islam. Figlio mio, l’Islam non è questo, l’Islam e pace e amore. Il vero musulmano è colui che non fa del male agli altri né con i fatti né con le parole. E il vero jihad deve essere jihad dell’anima. Cioè dobbiamo combattere gli istinti cattivi e maligni che ci sono dentro di noi. Dobbiamo poter dire di no al male e ai peccati che facciamo prima di guardare quelli degli altri. E il jihad non è uccidere e versare il sangue degli innocenti. Tutti i profeti e i messaggeri di Dio sono arrivati per fermare le ondate di sangue, omicidi, ingiustizie e odio. Dio ce li ha mandati per portarci messaggi di pace. Non a caso Dio volle che il nome di questa religione fosse Islam, cioè prostrazione alla volontà di Dio. E Dio non ha mai voluto che si versasse il sangue di innocenti. Nello stesso tempo la radice della parola Islam è Salam cioè Pace. In verità non è la differenza di religione che ci ha divisi nel tempo come popoli, ma sempre gli estremismi di ogni religione. E credo che hanno usato le religioni come scusa per legittimare le loro guerre e ingiustizie che facevano per i propri fini e interessi. L’unico colpevole reale di questo odio e queste guerre è l’estremismo. Con l’avidità e la superbia. Non dimenticare figliolo mio che noi tutti siamo creature dello stesso Dio anche se cambia il suo nome come cambiano i nomi delle religioni. Perciò figliolo non fare ciò di cui ignori le conseguenze e non passare da fratello e amico a carnefice e nemico che non vede l’ora di far scorrere il sangue, di uccidere innocenti e dividere famiglie. Le ingiustizie non si devono mai combattere con le ingiustizie.
Figlio mio non è questo il messaggio che Dio ci mandò con i suoi profeti? Dio è bene, Dio è pace, Dio ha proibito a se stesso l’ingiustizia, Dio è giusto e ama la giustizia. Dio è amore».
Le parole di mio zio furono come l’acqua ghiacciata che ebbe l’effetto di spegnere il fuoco dell’odio che avevo nel cuore. Ringrazierò sempre il buon Dio per avermi aperto gli occhi con il discorso di mio zio in tempo prima che facessi qualcosa di irreparabile. Questa chiacchierata con mio zio avvenne dopo i miei accordi con alcuni dei “fratelli” – così si presentavano i terroristi – per partire e combattere nelle terre del jihad. Mi avevano munito di un po’ di soldi e qualche informazione su dove e chi avrei dovuto contattare una volta arrivato in Libia. Credevano fossi pronto, e in un certo senso lo ero, se non fosse stato per le parole di mio zio. Dovevo solo esercitarmi a usare le armi da fuoco perché in carcere mi ero allenato fisicamente tanto e avevo rinforzato il mio fisico e i miei muscoli. Ringrazierò sempre mio zio di avermi aperto gli occhi…
Per non mettere in pericolo me e la mia famiglia non ho fatto capire niente ai “fratelli” del mio ripensamento e intanto venni a sapere da altri che c’era la possibilità di scappare in Europa clandestinamente rischiando la vita in un viaggio pericoloso via mare (harkha). Decisi di partire per mare pur di scappare da quell’inferno e crearmi un futuro lontano da tutto quell’odio e quella violenza. Nel contempo volevo salvare la mia vita visto che i “fratelli” sono molto severi nel punire chi si tira indietro e chi li tradisce. Fanno così per persuadere tutti quelli che tentennano a ubbidire ai loro ordini.
Come vediamo ci sono tante cose e tante condizioni che possono fare crescere questo tipo di terrorismo. Tanti giovani si ritrovano a essere terroristi, pedine pronte a uccidere, ma la cosa più grave è che sono convinti di quello che fanno perché loro danno ascolto a questi individui, che non posso neanche chiamare persone. Loro sono molto bravi a usare la religione come mezzo per lavare il cervello a chi non conosce veramente cosa sia l’Islam e prende per buono tutto quello che questi individui riescono a spacciare per dettami della religione, ma il loro scopo principale non è altro che usare i giovani che li ascoltano come bombe pronte a esplodere al loro comando. Ma odio semina odio, terrore semina terrore e ingiustizia semina ingiustizia. I posti scelti da questi assassini per i loro attentati e seminare il terrore, sono luoghi dove vive la gente comune e le loro vittime sono persone innocenti: donne, bambini, giovani e vecchi. Quello che fanno questi individui è un peccato verso la libertà, la vita, le religioni e Dio che in tutti i suoi libri sacri ci ha ordinato di evitare l’ingiustizia. Quello che fanno è un crimine contro l’umanità. E dicono che lo fanno nel nome di Allah, di Dio. No! No! No! Dio è più grande di voi, dei vostri crimini e del vostro terrorismo.
Amici miei non dovete in nessun modo ascoltare le prediche di questi assassini sia direttamente che tramite la rete. Vi diranno che è nel nome di Dio. No! No! No! Dio è innocente dei loro crimini. Non fatevi ingannare, amici. Come vedete dalla mia storia, ho rischiato di essere un terrorista.

 

NdR Questo è il memoriale nel quale un giovane detenuto arabo nel carcere di Trento racconta la propria esperienza di radicalizzazione jihadista in un carcere del suo paese, dove era rinchiuso per delitti di ordine comune. Il ragazzo, ora trasferito in un altro carcere, non parlava l’italiano, quindi il racconto è stato tradotto da un altro detenuto, la cui testimonianza è riportata qui sotto. I due testi sono stati pubblicati,  grazie a una persona che fa dei corsi nella struttura penitenziaria in questione, sul quotidiano Trentino, rispettivamente il 31.03.2016 e il 18.04.2016.

 

La testimonianza che ho raccolto per il TRENTINO è frutto di una lunga chiacchierata con un compaesano del mio stesso quartiere, Jebel-jeloud, nella periferia di Tunisi. È una zona molto povera dove la gente vive alla giornata con lavori malpagati. Da lì molte persone sono migrate in Europa già da anni. Io stesso sono venuto nel 1997 per aiutare economicamente la famiglia.
Visto che manco dalla Tunisia da così tanto tempo e non ho vissuto le recenti vicende, questo mio paesano mi ha raccontato la primavera araba e i cambiamenti che stavano succedendo in Tunisia. Non vi nascondo che ero rapito dal suo racconto. Avrei desiderato esserci anch’io per dare una mano a migliorare il mio paese anche se è strano come funziona l’informazione. Mi ricordo che in Italia si sapeva di più di quello che succedeva in Tunisia dopo la morte del venditore ambulante Mohamed Bouazizi. Telefonavo ai miei per chiedere informazioni, ma loro in città non sapevano nulla. Ne sapevo di più io.
Poi un giorno abbiamo visto alla tv un programma sul terrorismo e sull’ISIS. Non ricordo bene, ma penso che il programma fosse “Terra” di Canale 5. Parlavano dei cosiddetti foreign fighters e hanno detto che la percentuale più alta era quella dei tunisini. Non vi nascondo che cadevo dalle nuvole per quanto ero allibito. Il mio amico, invece, mi ha confermato che era tutto vero, e che c’erano e ci sono ancora tanti reclutatori abili nel manovrare i giovani e i più disperati, e spesso le loro vittime sono ragazzi pieni di rabbia e disperazione, e che non conoscono bene la nostra religione, perché se la conoscessero non cadrebbero mai nella trappola di questi fanatici.
Fatto sta che quella notte il mio amico mi raccontò tutta la sua storia. Dopo esserci coricati nelle nostre brande e spenta la luce ho fatto molta fatica ad addormentarmi. Ho pensato tanto a questa storia e a quanti ragazzi non fortunati come lui sono caduti nella trappola di questi manipolatori che hanno creato molto dolore. In quei giorni ho avuto modo di parlare con altri miei paesani e ho notato che tutti erano contro questi macellai ma soprattutto contro questa linea di pensiero che ha rovinato l’immagine dell’Islam e dei musulmani. Noi non siamo così, e tutto quello che c’è nel Corano è contro questa barbarie.
In quei giorni il mio amico ha maturato l’idea di scrivere la sua storia. Frequentava anche il laboratorio di giornalino in carcere e aveva bisogno di qualcuno che la traducesse. Nel frattempo però lo avevano cambiato di sezione e mi ha chiesto questo piacere parlandomi dalle finestre fra un piano e l’altro. Ci siamo visti per caso nell’area della scuola e mi ha dato i fogli scritti in arabo. Allora ho cominciato a tradurla. Mi sentivo in sintonia con quello che dice il Corano dove insegna che bisogna salvare le persone e se ne salvi una salvi tutta l’umanità. È un dovere per un buon musulmano. Spero che questa testimonianza possa aprire gli occhi alle persone e aiutarle a schierarsi contro la violenza. Da noi c’è un insegnamento importante: bisogna cercare di fare, se non si riesce a fare, bisogna dire e se non si riesce neanche a dire, basta anche pensare con l’anima.
Adesso non posso più parlare con il mio amico perché è stato trasferito in altro carcere. Ma se potessi gli direi che lo ammiro per il coraggio della sua scelta e perché ha saputo dire di no e tirarsi indietro in tempo. Gli sono grato anche perché ha raccontato questa storia.
Non ho timori a firmare questo testo perché penso che non bisogna avere paura. Anche perché so che tanti musulmani la pensano come me.

Farhat Selmi
Casa Circondariale di Trento, 6 aprile 2016

3 COMMENTS

  1. come sempre sono le persone più emarginate, disperate e prive dei diritti fondamentali a cadere nella rete del terrorismo post-ideologico e neo-religioso. Una testimonianza molto interessante nella semplicità del racconto.

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