Anomalie della compassione. Tre epiloghi
di Giusi Drago
Epilogo 4
PAPPAGALLI A BERLINO
non la pioggia né la noia ma una pericolosa destabilizzazione: la scrittrice austriaca a berlino, in uno stato di turbamento, registra la malattia della città, il muro che divide fa ammalare berlino, come la separazione dei genitori fa ammalare i figli, è ben più di una disarmonia, è qualcosa di peggio: solchi nella psiche e nella città – e comunque quelli non si meritavano di avere dei figli, anzi, dovrebbero risponderne ai servizi segreti
è in casi come questi che bisogna chiedere perdono: quando il muro è stato abbattuto, nessuno ha accusato i tedeschi di aver rimosso le pietre confinarie, si è piuttosto celebrata la riunificazione, e il divisorio si è mostrato per quello che era, un effetto collaterale di azioni imperdonabili, dotate di una loro precisa geografia di frontiera che di lì a poco si sarebbe sgretolata, tuttavia nessuna riunificazione capita nelle famiglie in cui si è prodotta – spesso sottraendosi alle intenzioni – la separazione: diagnosticabile è soltanto il capitolare di fronte alla realtà
ma che significa capitolare? le azioni di cui poi sarà necessario scusarsi tornano ad avere i nomi di un tempo: ogni morto tra berlino est e berlino ovest decade a strumento di propaganda, così come oggi in europa ogni migrante propaganda più la nostra miseria che la propria, e d’estate si avvicina a noi, circondati da case e strade, torturati da insetti e offerte, ondeggianti ai ventilatori o in arie condizionate: i nostri luoghi possono essere vuoti o affollati, e solo in apparenza quelli vuoti hanno tempi più brevi di guarigione, di certo però quelli affollati sono sempre in movimento e acuiscono lo spirito di crociata contro l’estraneo, a venezia persino contro il turista
è colpa della politica – la bachmann sarebbe stata d’accordo – se ci sono due pappagalli che si fronteggiano, l’uno chiaro l’altro più scuro, entrambi appollaiati su un carro armato al passaggio di confine, nel silenzio degli uomini in uniforme, è colpa di un abbaglio o della sfortuna se anche in casa ci sono due pappagalli – marito e moglie – che si combattono nel silenzio dei figli, i quali non lasciano capire da che parte stiano, la confusione è molta e lo spavento grande, ma i figli non si schierano, nella separazione cercano di tenere le distanze, ormai è andata, e se proprio i pappagalli continuano a farsi la guerra, almeno non sono più appollaiati sui loro trespoli nella stessa cucina, abitano ognuno a casa propria
Epilogo 2
DALL’INCERTEZZA DELLE NOSTRE POSIZIONI
benevola è la stabilità, magnanima la compassione, però da tempo vacillano e non sapendo dove regnare assumono consistenza di vetro: una tazza di vetro sporca di caffè, a questo è ridotta l’immagine della sostanza e non si tratta solo di mettere un po’ d’ordine, di far scorrere un po’ d’acqua
qualcosa di vitreo hanno anche le linee delle nuvole, oggi, sembrano vetrificarsi da sé in un cielo già di vetro
qualcosa al riguardo ha da dire anche la linea del pensiero: tabù, dice il pensiero, è tabù perché nessun manuale spiega come si sta scomodi nella vergogna, insettitudinari nella vergogna, anomalie della compassione
nel carcere femminile di breslavia la luxemburg osservò un bisonte ferito e lo chiamò fratello: accadrebbe di imparare che la compassione è vasta, si estende anche ai bisonti, non va mai lasciata, peccato tuttavia che la compassione non sia un sito così accogliente, specie se accompagnata da angoscia per la sorte dei compatiti e del compassionevole stesso
l’angoscia che accompagna la compassione, infatti, può essere fortissima: prende in prestito le forze del futuro e ferisce alle spalle, ostacola il ritmo della carne nelle cose umane
***
e si comportano tutti come se non ci fossero correzioni da fare, modifiche da apportare né opportune né necessarie, così nessuno migliora nulla e molti ritengono ben fatto ciò che palesemente non lo è, e per converso sottovalutano di continuo la buona riuscita
chi ha tempo e pazienza di correggere errori, sviste, imprecisioni – a cascata su documenti calcoli compiti, nelle pietanze come eccesso di sale, nelle risposte come abuso di spiegazione, nelle omissioni come incuria ˗ agita in mano una fune in fiamme, con cui frusta in primo luogo la propria imperfezione e l’altrui: non lo si fa più di buon grado, la cosa pare pedante, il più grande correttore di occhiaie non è forse il tempo? date una penna rossa al tempo e vedrete quanti sbagli estinguerà
dalla parte opposta stanno i paladini dell’ordine e da lì giungono ingiunzioni immediate e alla porta si presentano frotte di donne delle pulizie con detersivi, donne-candeggina dedite all’ipercontrollo, la resistenza consisterebbe nel far qualcosa che la casa non vuole, che anche le madri non vorrebbero: gettare sui pavimenti appena lucidati briciole e ciuffi di peli in precedenza spazzati su, abbandonare resti di cibo negli angoli, spargere sulle lenzuola i fondi del caffè, pisciare sui cuscini ˗ queste pulitrici ridono che è proprio una vergogna, deridono la sporcizia altrui, accusano di dilettantismo la padrona di casa, è una sposa dilettante e una donna dilettante e una madre dilettante, ascoltarle ha generato apprensione, mormorano di una, una trasgressiva, che vive sola in una casa felicemente disordinata
Epilogo 3
DAL BUIO DEI NOSTRI LETTI
nella storia del mondo non è mai finita un’epoca della luce e non ne è mai iniziata una nuova
la luce, infatti, è l’informazione essenziale che serve agli storici del nuovo millennio elettrico e digitale, ma – a ben vedere – la luce è servita in pari misura anche agli storici dei secoli passati: gli anni sono sempre stati misurati in luce
non così per i profeti, costoro hanno potuto formulare le loro previsioni anche al buio: è anzi possibile che l’attendibilità delle previsioni sia diminuita con il diradarsi del buio, grazie alla lampada a incandescenza di Edison – dev’essere questo il prezzo da pagare per chi è vissuto negli ultimi centocinquant’anni
un grande significato ha la luce, specie considerata retrospettivamente, dal buio dei nostri letti, se davvero è lei a formare la più coerente estensione dei giorni, sia pure con picchi di intransigenza e bagliori di superbia
è una gratifica immediata, quella che la luce concede alle cose, è l’anarchia del dettaglio e della ribellione individualistica, e per giunta in assenza di sensi di colpa: uno sfregio all’etica di Calvino
***
è inverno e dal buio dei nostri letti
non è il caso di perdere
questa luce, le sue brevi apparizioni
un crinale di chiarore lacera
l’asfalto, il vincolo della superficie
in tutto ciò che tocca la luce scava
senza affogare nel gelo
del calcolo egoistico: gli stessi brividi
di esaltazione nel ramo senza foglie
e nei vetri della casa di fronte
***
non veduta, nelle scure profondità delle nostre stanze e della sua ruminazione, ogni ombra è attraversata da tendenze divergenti che la delegittimano
perciò, secondo l’ideale penumbratile del postmoderno, tipico delle età di trapasso, l’ombra è di continuo costretta a censurare tanto la luce quanto se stessa, forse nel tentativo di attenuare la pressione della realtà
tuttavia in una vita già smaterializzata, virtuale, liquefatta, l’ombra quasi sfigura: un tempo era il nemico numero uno, nemico chimerico risorgente da ceneri, cenere che compattava interi paesaggi, inghiottiva intere comunità insinuandosi negli interni (tanto caverno-neanderthaliani quanto borghesi) e nei sonni di una ragione mostrificata, al punto da far perdere ai sognatori – di tutti i tempi e di tutte le latitudini – l’orientamento
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Grazie per questi magnifici testi tra storia personale e collettiva, scritti con una rara eleganza. Tornerò a riflettere sull’ultima lassa, che apre questioni complesse.
Giusi Drago è una poeta potente e inafferrabile. Le sue uscite non sono frequenti. Quando ti imbatti in un suo scritto, è sempre una sofferta festa, alla quale prepararsi affilando le lame della sensorialità e dell’intelligenza.
Non riesco a capirle. Tra l’altro mi pare che il muro di berlino sia caduto da un bel pezzo, quindi davvero mi suonano vuote e inutilmente pindariche.