Carla Lonzi. Scacchi ragionati ma non troppo
di Jamila Mascat
***
Compleanno […]
Eppure è duro accettare
che il tempo batta per secondi
che il cammino si faccia
un passo dietro l’altro,
che la gioventù sia solo
il ribollente serbatoio
della maturità ragionevole.
(Roma, 9 marzo 1958)
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Scacco ragionato, una raccolta di testi poetici scritti da Carla Lonzi tra il 1958 e il 1963 e pubblicati postumi, prende il titolo dall’omonima serie di poesie, sei in tutto, contenute nel volume in questione e ordinate dall’autrice secondo una progressione numerica. Ermetico, il titolo è perfino controintuitivo, dal momento che lo scacco è « matto » per antonomasia, mentre Lonzi lo vuole insolitamente « ragionato »: non necessariamente razionale né ragionevole, ma quantomeno meditato e soprattuto veritativo. Scrive Lonzi: « La parte poetica era sì ragionata ma nel senso che voleva la verità della mia identità », identità mancante e strutturata precisamente intorno ad una lacuna, che le appare, per questo carattere irresolubile, il tratto più proprio della sua condizione.
Per Lonzi lo scacco non sta ad indicare l’evento fatale di una disfatta né la mossa vincente che determina la fine della partita. Piuttosto denota un accadimento seriale, individuato e appunto reiterato, o meglio un’andatura, prescelta – « l’andatura / innocente di chi si tiene /equidistante dal nulla » scrive Lonzi in Migrazione – e che culmina in una linea di condotta.
Dalla raccolta di poesie Scacco Ragionato 1958-1963, Rivolta femminile, 1985
Scacco ragionato
Così quando in allarme
sempre più in allarme
a un’occhiata scopri
quantità di situazioni
interrogative e non c’è
oggetto o immagine o suono
o niente di niente
che non sembri messo lì
un istante in atteggiamento
ermetico e provocatorio
come chi non lascerà
la posa se non hai sciolto
l’enigma della neutrale
familiarità di sempre
e l’asciugamano l’albero
la ringhiera con fissità
inamovibile sotto sguardi
pazienti e scetticamente
ragionevoli sbarrano
ogni centimetro in cui
distendere l’indiscussa
superiorità, scatta
lo sportello segreto,
l’antica impotenza
di chiocciola germogliante
nel buio, all’aggressione
che pretende spargere
oscuro disfattismo
nel corso dei tuoi pensieri
e anzi a uno a uno
metterli in scacco
con voce di pura cosa
dopo lunga attesa
staccata dal silenzio.
***
Ascolta: non può essere
perduta questa parola
come non può essere
perduta la mia anima
in un angolo del creato.
… Tu mi dici invece
che tutto può andar
perduto e dimenticato.
(Firenze, ottobre 1953)
***
La tartaruga
Di giornate interminabili ti chiedi
se siano trascorse e se a infiniti
passi nel vuoto siano corrisposti
infiniti secondi nel tempo e inquieta
senza pulsazioni aggiri te stessa
con occhi scorrenti su un mondo
di ostinate sciarade, occhi di tartaruga
bionda allibita senza suono e senza
la posizione verticale; che qualcuno
abbia dolcezza per il tuo esposto mistero
e cautamente lo cerchi accostando un dito
all’ingresso dell’infrangibile guscio.
(Milano, 28 ottobre 1959)
***
Anniversario
Anniversario
di anni versarii
di versamenti dall’inguine multiplo
nell’era consubstanziale
sostanziali benefici del versare
in vasi comunicanti
i liquidi della comunicazione
indotto dallo splendore
dell’atto genitale
genitori sconfitti nell’alveo
dei clan e le mense
del mangiare.
(Milano, dicembre 1963 / gennaio 1964)
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Le poesie, scrive Lonzi nel diario « erano la mia immagine » – nonché « l’unico aggancio a cui tener fede ». Aggiunge: « Nella parte poetica riconoscevo me stessa, nella parte concettuale mi affermavo verso l’esterno ». La poesia è quindi l’inizio di una ricerca, il cominciamento di un percorso, ma anche e soprattutto un’anticipazione, che precorre l’itinerario destinato a sbocciare con la scoperta del femminismo. Lonzi esplicita questo pensiero in un’intervista a Michèle Causse del giugno 1976 dove ricorda: « Anch’io ho scritto delle poesie quindici anni fa, che sono il diretto antecedente di quello che poi mi ha orientato nel femminismo, ma non ho mai cercato di pubblicarle, perché non vedevo una, una sola persona che avrebbe potuto ‘leggerle’ ». Alle sue poesie Lonzi riconosce il portato quasi profetico di un presagio d’esperienza: « le ho rivissute nel presente e erano giuste, tutte giuste e autentiche », annota il 23 ottobre 1972. L’autenticità affiora dunque nei versi ben prima che cominci l’avventura di Rivolta femminile e che la pratica dell’autocoscienza diventi un esercizio collettivo. « Il mio bisogno era autentico » – nota Lonzi, sempre nel diario – a proposito di quel suo primo germoglio di scrittura, e altrove confida in una lettera a Gabriella Kristeller: « Mi sono salvata scrivendo poesie, una pratica di autenticità allucinante in cui tentavo di salvare tutti i fallimenti sul piano personale in chiave di autocoscienza ».
Da Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Rivolta femminile, 1978
Mi si presenta
la sensazione di qualcosa
irreparabile – la vita stessa.
Mai mi sono sentita
con le spalle al muro
come adesso – mai più calma
Capire – far parte
capire di far parte
non c’è altro
io – la mia porzione di cecità
io – la mia porzione di luce.
Quando ti accorgi
di avere “sbagliato”
pur essendo nel “giusto”
(che era prevedibile
ma proprio quello
ti eri distratta
dall’aver previsto)
capisci tutto – anzi
ricordi che lo capivi
prima – poi l’ipotesi
comune ti aveva tentata.
***
Io correvo
le nuvole correvano
non raggiungevo mai
le nuvole
Adesso cammino
col mio passo
e guardo
le nuvole che corrono
***
La mia vita vacilla
vedo in lui un altro uomo
i suoi occhi sono ottusi
si rifiuta di capire.
Siamo alla fase in cui non si dà
ma si tiene stretto
quello che siamo.
Tutto ciò che era ovvio
ritorna enigmatico sospetto
si ricomincia tutto da principio
lui mostra di non aver capito
né accettato.
Allora cos’era prima?
Perché non ci succede
di scioglierci
come prima?
Perché ci guardiamo
negli occhi per cercare
nell’altro il proprio dubbio?
***
Sto mettendo i cavalli
al mio carro
sto facendo i preparativi
per partire –
no, non è ancora
avvenuto –
il mio carro
la mia strada.
Lascio tutti
ma non sono triste
più strano ancora
non ho paura
non ho altra scelta
e dipende solo da me.
Il cavallo grigio
ha nome Noncuranza
quello rosso Follia.
Taci, anzi parla: doloroso, quasi struggente. Grazie Jamila.
Grazie Silvia. Ti scrivo in privato presto. un abbraccio