Diritto d’asilo: una proposta politica
Invece di investire denaro europeo e nazionale per erigere impossibili muraglie all’interno del Mediterraneo, facciamo funzionare, nei paesi extraeuropei colpiti dalle guerre, le nostre ambasciate, recepiamo le domande di asilo e organizziamo il trasporto legale e sicuro nei paesi d’accoglienza. Invece di trovarci costantemente non nell’emergenza immigrazione, ma in quella umanitaria, dovendo ripescare annegati e sopravvissuti, strappiamo agli scafisti l’organizzazione del trasporto dei rifugiati dall’Africa alle coste europee, rendiamo quel viaggio ammissibile e privo di rischi, sottraiamolo ai commerci abietti.
Gli sbarchi a Lampedusa non sono sbarchi di migranti ordinari, non rientrano nell’immigrazione di tipo economico, ma nascono da circostanze eccezionali come le guerre civili o le persecuzioni politiche, etniche e religiose. Non siamo di fronte a persone che cercano semplicemente di migliorare il loro tenore di vita, fuggendo la povertà e la disoccupazione. Sono persone che cercano di sfuggire alla morte, alla schiavitù, alla tortura, alla guerra. Secondo la definizione delle Nazioni Unite il rifugiato è chi è stato costretto a lasciare il proprio paese, chi non è riuscito a tornare a casa, chi ha paura di tornarvi, chi deve scappare sotto la minaccia della persecuzione e della violenza. La continua confusione tra la condizione del migrante e del profugo ha contribuito, nel dibattito politico italiano, a alimentare il fantasma dell’invasione e di una emergenza che andrebbe affrontata in modo repressivo.
Tuttavia, come già accade in Africa, sono i paesi poveri che da decenni, in modo più o meno disastroso, si trovano comunque ad accogliere le grandi masse di profughi, non certo i nostri paesi europei. Dei due milioni di rifugiati siriani solo 7.500 avrebbero scelto la via dell’Europa per chiedere il diritto d’asilo. Una tale situazione non presenta, quindi, i tratti di qualche apocalittica invasione, se si decidesse di regolarla e di strapparla al dominio dei mercanti di esseri umani.
I flussi dei migranti ordinari, invece, nei dati forniti da Gabriele Del Grande, sono illuminanti: “Duecentoquindicimila emigrati, perlopiù sudamericani, hanno lasciato la Spagna soltanto nel 2012. Dalla Grecia, almeno duecentomila lavoratori albanesi sono tornati a Tirana negli ultimi cinque anni. E in Italia avviene lo stesso, sebbene le cifre del fenomeno non siano ancora chiarissime”. Il migrante che è partito per migliorare il suo tenore di vita o per sfuggire alla disoccupazione, non ha bisogno di essere riportato alla frontiera con la forza, dal momento che alla frontiera ci va da sé nel momento in cui non è più in grado di inserirsi nel tessuto lavorativo ed economico nel paese di arrivo.
Occorrono informazioni, analisi, riflessioni chiare sulla situazione (Gabriele Del Grande ne fornisce di emblematiche sul sito di Fortress Europe, vedi, per esempio, qui o qui)
Quel che ormai sembra lampante è la necessità di abrogare la legge Bossi-Fini. Perché la legge Bossi-Fini, trattando i profughi come delinquenti, favorendo i criminosi respingimenti in mare, riducendo il rifugiato a una non-persona, talmente pericoloso da far sì che chi lo salva dalla morte sia incriminato per favoreggiamento, è una legge incivile.
Sosteniamo l’abolizione della Bossi-Fini. Sosteniamo il manifesto dell’Asgi, l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, che chiede, tra le altre cose, che i soccorritori di Lampedusa non siano sottoposti a indagini della magistratura, che il diritto di asilo sia assicurato, che i Centri di identificazione e di espulsione siano chiusi. Siamo per il supporto e l’assistenza regolari a Lampedusa e ai Lampedusani, che, come ricorda Franca Regina Parizzi (1), assessore ai servizi sociali dell’isola, da anni ricevono dall’Italia solo promesse. Siamo, ancora con l’assessore Parizzi, contro la creazione dei mega-centri, per l’apertura di piccoli centri diffusi sul territorio, una politica che suddivide gli oneri e favorisce l’integrazione. Condanniamo l’approccio punitivo paneuropeo del Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere. Aderiamo all’appello di Melting Pot per la creazione di un canale umanitario, affinché chi fugge dalla guerra e dalla morte possa trovare non la morte e il rifiuto, ma asilo, vita.
(1) Qui l’intervista di Radio Ies all’assessore Parizzi del 04.10.2013 http://www.youtube.com/watch?v=kDTfNxZTTtw
Non è cosi semplice “scaricare” sulle ambasciate il compito di appurare lo status di rifugiato. A parte che la corruzione potrebbe avvenire con il personale dell’ ambasciata, questo come fa, in molti casi, ad appurare se il richiedente è un perseguitato politico? Chiedono al Ministero degli interni? Leggono i giornali locali? E se il richiedente è ricercato? se è un ladro comune?
In questo caso forse le autorità locali per liberarsene direbbero che è un perseguitato politico
Alberto, grazie per aver posto questa domanda, ingenua, ma fondamentale: rifugiato è chi scappa da zone di guerra, violenza e persecuzione, si riconosce perché proviene da paesi colpiti da queste ostilità, perché vive nei campi profughi o in luoghi di fortuna, perché, di solito, viaggia con il coniuge e i figli, perché, di solito, parla un’altra lingua da quella del paese in cui richiede asilo e da quella del paese verso cui richiede asilo, perché non ha nulla (ha mai visto un profugo col trolley?), perché, quasi sempre, risponde a più di una di queste caratteristiche contemporaneamente. Infine: perché è disposto/a a rischiare la vita pur di scappare: un viaggio per il Mediterraneo su una bagnarola con centinaia di disperati senz’acqua non è proprio come fare il periplo di Capri.
Certo, bisogna pensare a dipartimenti adeguati, con personale, mediatori interculturali, interpreti e quant’altro. E perché non farlo? O preferiamo continuare a vedere decine, decine, decine, decine, decine di sacchi sul molo? altre ragazze incinta affogate mentre partorivano su una barca in fiamme?
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Ottimo.Per quanto concerne il fatto che sia improbabile che un governo antidemocratico lasci a un’ambasciata straniera operante sul proprio territorio le funzioni di proteggere il perseguitato politico dal leviatano ci si potrebbe orientare sul potenziamento delle relazioni con i paesi adiacenti a quello in questione. Da anni infatti convivono in quelle realtà bellissime forme di democrazia accanto alle tirannidi. Muovendoci così potremmo ottenere due scopi,primo i migranti potrebbero tralasciare la parte più pericolosa del viaggio dovendosi spostare solo via terra, e in secondo luogo aiutando i paesi che ospiterebbero questi centri di mediazione si creerebbe un circolo virtuoso per cui la parte più addomesticata della popolazione delle nazioni più sfortunate capirebbe le potenzialità di un processo di sviluppo dei diritti,e lo farebbero o in fase di elezioni(o in guisa di rivolta)
http://www.youtube.com/watch?v=2Kjy2Mtqwr0
[…] (pubblichiamo una risposta al nostro “Diritto d’asilo: una proposta politica“). […]
Dai vari commenti che sono seguiti mi sembra che l’idea di utilizzare le ambasciate non sia troppo praticabile. Sembra invece tecnicamente possibile soccorrere i barconi all’inizio del viaggio dalle coste libiche. Si dice che con droni e satelliti alla base NATO di Napoli vedono addirittura l’imbarco e la partenza dei migranti dalle coste libiche (sulle navi madri). spostare i soccorsi appena fuori delle acque territoriali libiche salverebbe molte vite e consentirebbe il sequestro delle navi madri in acque internazionali. ( sempre che siamo sicuri che queste non svolgano un lavoro per cosi dire “socialmente utile”?)
Forse le ambasciate non hanno risorse, probabile che sia impossibile avere tanti mezzi, ci sarà pure tanto idealismo, ma di certo qualcosa per migliorare una normativa che costringe chi ha una barca a NON usarla per salvare gente che rischia di annegare, e procede ad indagare chi ci prova, si può cambiare, no?
Perché queste persone s’imbarcano, con enormi spese ed enormi rischi, anziché prendere un aeroplano di linea con minimi rischi e minori spese?
Risposta: perché nessuno dà loro non dico un documento che li qualifichi come persone in fuga dalla guerra o perseguitati politici: ma nemmeno un visto turistico.
La prima cosa che le ambasciate e i consolati italiani potrebbero fare è: rilasciare visti.
In questo modo forse arriverebbero in Italia più persone. Certamente ne morirebbero per via molte, molte meno (anche gli aerei di linea possono precipitare). Sicuramente arriverebbero in Italia in salute e con qualche soldo in tasca, anziché malconce (eufemismo) e spogliate di tutto dai traghettatori.
La maggior parte degli immigrati (la stragrande maggioranza) arrivano in Italia così: con un visto in tasca. Perché le ambasciate e i consolati italiani in certi Paesi danno i visti, e in altri no.
Il blocco dei visti in certi Paesi fu una decisione (che nessuno mai più toccò) di un governo Prodi.
Se si abolisce la Bossi-Fini e si mantiene quella decisione, i traghettatori continueranno a lavorare e i migrandi continueranno ad annegare.
[…] [Questo racconto-testimonianza è apparso il 20 agosto 2010 sul sito Melting Pot Europa in una versione più lunga. Lo riproponiamo oggi nel contesto della discussione che abbiamo aperto intorno alla questione del diritto di asilo.] […]