Storie di classe
di Antonio Sparzani
Prima storia.
Quando per la prima volta, nella terza classe della scuola elementare ‘Euclide’, l’insegnante mostra ‘ufficialmente’ un triangolo, lo disegna sulla lavagna e dice “questo è un triangolo”. Allora tutti gli allievi copiano il disegno sul loro quaderno e pensano di aver copiato lì, e quindi di avere sotto i propri occhi “il triangolo disegnato alla lavagna”. Non stanno certo a porsi il problema se sia ‘lo stesso triangolo’ in un qualche più sottile senso. Tutti e ventidue i bambini della classe fanno questo e si hanno così complessivamente ventitré triangoli disegnati nella classe.
L’insegnante presumibilmente prosegue elencando alcune proprietà elementari del triangolo, per esempio che ha tre angoli interni la somma delle cui misure è 180 gradi, che ogni lato è minore della somma degli altri due e maggiore della loro differenza e simili. Ogni allievo/a cerca di comprendere, sia guardando la figura alla lavagne, sia – indifferentemente – guardando quella che ha copiato sul proprio quaderno, il significato delle proposizioni enunciate.
E tutto questo è naturale e normale. Se però l’insegnante cominciasse ad elencare, tra le proprietà del triangolo disegnato alla lavagna, il fatto che il vertice A del triangolo disti 1,40 m da un certo angolo della cattedra, o che ogni lato del triangolo abbia consumato 1 mm di lun-ghezza del gesso usato per tracciarlo, gli allievi comincerebbero a preoccuparsi di guardare soltanto il triangolo disegnato sulla lavagna, perché le proprietà di questo secondo tipo non sarebbero più vere per i triangoli disegnati sui rispettivi quaderni.
L’insegnante certo si guarda bene dal proporre proprietà di questo secondo tipo e tutto fila liscio e tranquillo. Ogni allievo si abitua a pensare che le proprietà interessanti, quelle cui val la pena di dedicare attenzione, sono quelle del primo tipo, e che dunque il triangolo disegnato sulla lavagna, in un punto o l’altro di questa non importa, e il triangolo disegnato sul quaderno, sono – in una qualche non ancora ben capita buona sostanza – lo stesso triangolo.
Questa procedura era ovvia e comune tanto ai tempi di Aristotele quanto lo è ai giorni nostri. Essa è naturalmente confortata dalla circostanza che di fatto, se ciascun allievo esegue dei controlli e delle misure sul proprio triangolo, constata la validità delle affermazioni enunciate dall’insegnante, e vien fatto di interrogarsi su cosa accadrebbe se così non fosse, se cioè, ad esempio, a seconda del banco su cui si trovi il quaderno, la somma degli angoli interni risultasse 185, 173, 206 o 168 gradi. Se così fosse normalmente, nessuno probabilmente si stupirebbe e quella proprietà non sarebbe tra quelle che l’insegnante proporrebbe come interessanti.
Questa storia dovrebbe suggerirci i seguenti fatti:
i. ci sono proprietà delle figure geometriche che vengono considerate proprietà delle figure tout-court, indipendenti da dove si trovino e da come siano orientate le figure. Chiamiamole proprietà di categoria A.
ii ci sono poi proprietà delle figure, chiamiamole di categoria B, che dipendono fortemente da altri fatti, ad esempio da dove le figure sono situate.
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La Gilda, mentre pregava Iddio, divorava col guardo un giovane bello e fatale. E ciò tutte le feste, al tempio. Quel giovine, ch’era un duca, in un primo atto l’amò, in un secondo la piantò.
Questa favoletta ne susurra: che il fare un pasticcio di Dio e del giovane bello e fatale è operazione priva di rigore logico.
[Carlo Emilio Gadda, favoletta 95 da il primo libro delle favole]