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Una democrazia in offerta (paghi uno prendi due)

di Benedetta Centovalli

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Dopodomani è di nuovo l’11 settembre. Ma c’è davvero «bisogno di anniversari per ricordare quello che non si può dimenticare»? Anche per questo consiglio di leggere la raccolta di scritti politici di una donna speciale, Arundhati Roy, appena pubblicata da Guanda, con l’ironico titolo Guida all’impero per la gente comune. Nel diluvio di articoli saggi e libri per ricordare la tragedia delle torri non mancherà la retorica, ma dal rumore intenso di una giusta memoria sarà difficile non domandarsi il perché di altri silenzi, di altre cancellazioni di morti.

11 settembre 1922. Medio Oriente, mandato sulla Palestina del governo britannico.
11 settembre 1973. Golpe di Pinochet nel Cile democratico di Salvador Allende.
11 settembre 1990. George Bush Senior annuncia la decisione di dichiarare guerra all’Iraq.

Quanti 11 settembre?

Sì, anche per questo vale la pena soffermarsi su queste pagine come un antidoto intelligente all’ondata commemorativa e omologante.

La Roy ci viene incontro con il nitore e la forza delle idee che devono essere condivise: la giustizia, l’uguaglianza, la libertà tra i popoli. E passo passo ci guida a smascherare il fatto che questi principi esaltati a parole siano ancora oggi calpestati in guerre sanguinose. La Roy ci invita all’esercizio della coscienza e al coraggio nel difendere la libertà di espressione.

Dopo il successo internazionale del suo romanzo d’esordio, Il dio delle piccole cose (Guanda, 1997), la scrittrice indiana ha preferito dare maggiore spazio alla sua militanza politica e dedicarsi alla prosa d’intervento civile sui temi della guerra, del potere e della globalizzazione. «Il romanzo o il saggio sono solo tecniche diverse per raccontare una storia», ma è soprattutto la forma saggistica quella dove fare reagire quel «mondo dolente e spezzato in cui mi sveglio ogni mattina».

«La letteratura può avere una funzione sovversiva, ma a volte ci sono delle urgenze più forti che chiedono anche un diverso impegno», ha detto nell’incontro di chiusura al Festivaletteratura di Mantova davanti a una platea enorme e attenta alle sue parole, rapita da questa figura di donna, piccola e fragile, dolce e decisa. Le vere battaglie non sono però solo quelle fatte di parole, ma anche l’agire in modo efficace, perché «Basta avere ragione, adesso vogliamo anche vincere».

La Roy ripercorre gli ultimi anni di storia, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla politica nucleare in India alla questione delle grandi dighe che mettono in pericolo l’ecosistema e causano vere e proprie migrazioni verso le città, dalla crisi della democrazia all’avanzare dell’impero americano. Negli scritti della Roy c’è un’ansia positiva nel ricercare soluzioni e risultati, per arginare la deriva dei principi democratici, cominciando dai grandi movimenti pacifisti attraverso i quali convogliare il dissenso, disattivare la violenza e mirare al cuore economico del colonialismo. In un presente segnato dalla perdita di sogni e di futuro, di giustizia e di sentimenti, le parole della Roy armano la resistenza e la difesa. Ma sono anche una sollecitazione e un invito a qualcosa di più. Le guerre in Afghanistan e in Iraq hanno trasformato la strategia dei conflitti nel mondo, così come la nozione stessa di democrazia si è svuotata di qualsiasi contenuto e significato. In suo nome si è compiuto ogni abuso: «La democrazia è la puttana del mondo libero, si veste e si spoglia, vogliosa di soddisfare ogni desiderio, disposta a essere usata e abusata a piacimento». È lungo l’elenco degli utilizzi strumentali di una democrazia difesa o esportata con la forza soprattutto dagli Stati Uniti fino ad avere trasformato questa parola in «eufemismo imperiale del capitalismo neoliberista». L’ultimo pezzo del libro è datato maggio 2003, a cui si aggiunge in questi mesi – ha detto l’autrice – la riflessione sul significato dell’opposizione in paesi come l’Afghanistan o l’Iraq, sfiancato prima dalle sanzioni e poi dai bombardamenti. Adesso che la guerra sembra ufficialmente conclusa e vinta dagli americani comincia la vera guerra, l’unica che una popolazione in ginocchio può ancora pensare di combattere in difesa della propria identità. È l’odierno paradosso, ma è anche la sola via per contrastare un colonialismo senza più limiti e freni. Un imperialismo che deve trovare la forza di distruggersi anche dall’interno, come era avvenuto per il Vietnam. Ridare credito a quello che la gente chiede e vuole. Disinnescare questi meccanismi del potere allargando i confini dei paesi, superando i nazionalismi in favore del dialogo.

Fervore e passione nel discorrere pacato di questa scrittrice, si resta impigliati nella trama del suo ragionamento e ci sembra un’infamia sottrarci all’impegno a cui siamo chiamati, ciascuno di noi, cittadini piuttosto della periferia dell’impero.
«I miei avversari sostengono che la mia saggistica è prodotto della mia invenzione narrativa. Amo la letteratura. Tornerò a scrivere quando il tempo sarà maturo. Non si possono spingere le cose. Arriverà. Quando il tempo sarà maturo tornerò a scrivere narrativa.»

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Questo intervento è stato pubblicato su Stilos il 9 settembre 2003

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