La storia degli altri
[Da sempre ritengo che il conflitto tra lo stato d’Israele e il popolo Palestinese non avrà fine finché gli scolari israeliani impareranno a scuola che i palestinesi sono brutti e cattivi e reciprocamente gli scolari palestinesi impareranno a scuola che gli israeliani sono brutti e cattivi. Dovrei dire “a scuola e in famiglia”, naturalmente, ma già se a scuola sentissero una storia diversa qualcosa cambierebbe. Con questo tema inizia questa breve intervista, pubblicata sul numero di giugno 2009 di Peace Reporter, la rivista di Emergency. La cartina sottostante l’ho copiata io da questo sito. a.s.]
di Christian Elia
Ilan Pappé è uno storico israeliano che insegna all’Università di Exeter, in Inghilterra. Insegnava a Haifa, ma non gli è stato rinnovato il contratto. I suoi libri, in particolare La pulizia etnica in Palestina del 2007 edito in Italia da Fazi, hanno suscitato tante polemiche. Viene ritenuto il principale esponente dei cosiddetti nuovi storici, impegnati nel riesame della storia israeliana e del conflitto palestinese.
Lei ha dichiarato di essersi imbattuto nella questione palestinese solo quando si è recato a Oxford per il dottorato. Quale storia studiano i ragazzi in Israele?
Tanti israeliani sono stati istruiti a pensare che i palestinesi hanno abbandonato volontariamente le loro terre nel 1948 e che all’epoca il governo israeliano ha fatto di tutto per convincerli a restare. Nella storiografia ufficiale passa una tragica farsa: Israele è nato su una terra che non era di nessuno prima. Ma allora come si spiega la vulgata che invitava i palestinesi a restare? In questa versione Israele non ha alcuna responsabilità storica e politica. I giovani israeliani vengono istruiti a pensare che oggi come nel 1948 combattono un nemico barbaro. Non gli vengono dati gli strumenti per capire per quale motivo un palestinese si fa esplodere, perché l’Olp combatteva Israele o perché Hamas lancia i razzi Qassam. Senza un’analisi dei fatti, tutto quello che accade viene percepito dai giovani israeliani come una gratuita aggressione, si sentono odiati solo per il fatto di essere ebrei.
Il risultato delle ultime elezioni ha premiato Avigdor Lieberman, in odore di xenofobia verso gli arabi israeliani. Ritiene che si corra il rischio di una nuova pulizia etnica?
Dopo il 1948 i palestinesi sono stati dispersi: Cisgiordania, Gaza, dentro Israele e i campi profughi. Il problema demografico resta una priorità strategica assoluta per Israele. Per Gaza e Cisgiordania la soluzione è sotto gli occhi di tutti: creare delle grandi prigioni dove rinchiudere i palestinesi con la forza. Rimane da decidere cosa fare dei palestinesi in Israele. Su questo tema Lieberman ha costruito la sua popolarità e la maggior parte degli israeliani è stata convinta a guardare ai cittadini arabi con sospetto. L’unica soluzione possibile è una pulizia etnica. Avverrà in maniera graduale ed è una politica che è già iniziata. Il governo chiede agli arabi israeliani attestazioni di fedeltà, gli impone limitazioni economiche e commerciali, mette in discussione la loro cittadinanza.
Si creano le circostanze che ti spingono ad andare via. Questa è la strategia dell’attuale governo verso gli arabi israeliani. Bisogna’ vigilare con la massima attenzione.
In passato ha dichiarato che il memoriale dell’Olocausto è costruito sulle. macerie di un villaggio palestinese. Ritiene che l’orrore della Shoah venga strumentalizzato?
La memoria dell’Olocausto, per il governo d’Israele, è importante per giustificare la sua politica néi confronti dei palestinesi. Nel nome della memoria dell’Olocausto si dice al mondo di tacere. E’ come uno scudo tattico contro qualsiasi critica. I palestinesi vengono dipinti come i nuovi nazisti, un pericolo per la sopravvivenza d’Israele. Rispetto alla percezione e alla strumentalizzazione della Shoah va fatto poi un discorso a parte per gli Stati Uniti e l’Europa. In particolare nel Vecchio Continente, è come se l’Olocausto avesse generato un’apertura di credito illimitata. Ogni personaggio politico deve ribadire di non essere antisemita, per lavare la coscienza sporca, rispetto a quello che è successo agli ebrei. Ecco, verso Ue e Usa la manipolazione consiste nel far passare il messaggio che quello che è accaduto allora e quello che accade oggi siano fenomeni collegati.
Tanti intellettuali israeliani, negli ultimi anni, hanno mutato punto di vista sul conflitto. Non è più di moda criticare la politica dello Stato d’Israele?
Personaggi come Grossman e Oz finiscono per rappresentare un pericolo maggiore per i palestinesi degli stessi Netanhyau e Lieberman. Rappresentano un sionismo rassicurante. Sono gli esponenti di un sionismo tattico, che punta a raccontare una realtà particolare, fatta di convivenza e condivisione, un sionismo che fa cominciare tutti i problemi con l’occupazione del 1967. Questa visione rimuove il problema principale, il sionismo ideologico, che ha generato il sistema vigente di apartheid. Il problema d’Israele è l’ideologia stessa che è alla base della sua nascita. Un’ideologia etnica, che vuole un Paese solo di ebrei.
Non crede che la sua posizione sul boicottaggio accademico sia rischiosa? Ci sono tanti intellettuali israeliani nell’ambiente universitario che rappresentano voci critiche.
Perché non ha boicottato anche quest’edizione dedicata all’Egitto,che molti ritengono complice d’Israele rispetto all’ultimo conflitto a Gaza?
Il mondo accademico israeliano è parte del sistema di occupazione. Il boicottaggio vuole essere uno stimolo per questi intellettuali, non una chiusura verso di loro. L’idea è quella di fare in modo che il boicottaggio spinga queste persone a ribellarsi, non è un modo per isolarli. Non penso che il boicottaggio accademico sia la soluzione a tutti i mali, ma credo che possa essere una spinta anche per i personaggi critici, invitandoli a prendere posizioni più nette contro l’occupazione. Per quel che riguarda l’Egitto, nessuno lo ritiene una democrazia. Tanti, invece, sono convinti che Israele lo sia. I presupposti, come vede, sono completamente differenti dall’edizione dello scorso anno. Il boicottaggio della Fiera era un segnale, per promuovere una riflessione sull’occupazione e la democrazia.
interessante la tesi che esista un sionismo strategico e un sionismo tattico.
su grossman e oz niente che non si percepisse già con chiarezza, almeno dalle interviste.
di quelle carte manca l’ultima.