Catalunya #4
di Antonio Sparzani
Dalle tristezze bisogna pur distrarsi e dopo le olive farcite e ancora con l’interno di Santa Maria del Mar che danza nella mente come illuminandola trattenendo un’immagine di spazi chiari e di vetrate di fantastici colori gotici ci avviamo alla facciata del duomo che è poco distante perché verso l’una di tutte le domeniche qui si balla la sardana che è una cosa che bisogna vedere una volta nella vita la sardana è una danza seria solenne che ricordo da anni addietro mi era parsa una vera manifestazione collettiva di un popolo che ti fa vedere che capacità di compattezza e forse anche di lontananza ha rispetto a tradizioni diverse le sue origini si perdono come spesso nella notte dei tempi che chissà quante cose ormai ha inghiottito ma se la vedi e la ascolti una volta perché la sardana è una danza e una musica assieme non la dimentichi ti viene voglia di entrare anche tu e dire sì anch’io a voi appartengo con voi voglio danzare e ascoltare e insieme sei cosciente di un mondo esclusivo si balla la sardana che pure sembra molto semplice solo se sei uno di loro sei vestito giusto e hai la faccia e la serietà giusta e anche i pensieri certo non si può ballare la sardana pensando a chissaché è una cerimonia calma e solenne così stampata nei miei ricordi e oggi che delusione niente si vede che in agosto è sospesa nessuno sa perché ho dovuto tenermi il mio ricordo di vent’anni fa di quando mi colpì per la prima volta così intensamente e per la prima volta desiderai oh sì desiderai di essere anch’io là in mezzo di acquistare un’identità forte che mi sembra di non averne mai una precisa e provai anche allora quel rimorso e rimpianto e dolore anche di non poter far parte di un mondo che pure mi attirava come tante altre comunità strette di persone della vita famiglie fratellanze partiti orchestre cori ben affiatati e invece no sempre a coltivare ma forse non volendo questa individualità senza compromessi non so
Quando ti aggiri nel barrio gótico non importa dove vai ad ogni angolo ti aspettano cose il museo Picasso i tavolini di un bar con tapas a volontà o qualcuno di quegli artisti di strada che si trova una nicchia in una piazzetta a suonare le sue melodie è appunto nella piccola Pla de la Seu adiacente al duomo che ci capita di fermarci ad ascoltare una ragazza bionda che suona il violoncello cavandone melodie di quelle che arrivano a distendere i pensieri che è sempre una bella cosa al punto che non resisto e mi fermo a guardare e comprare il suo cd pronto lì da vendere Alena Tryhubkina è il suo nome e ho visto che appena lo cerchi in google subito salta fuori qualcuno che ne parla bene ma sentire il cd a casa non è affatto la stessa cosa che ascoltare Alena in quella piazzetta raccolta insieme con altri tutti in silenzio come rapiti da un suono vero prodotto lì nell’aria che stai respirando cioè quel suono lo respiri un po’ anche mentre lo senti e poi la vedi manovrare l’archetto del suo violoncello e l’espressione del suo viso e gli sguardi e quindi lo percepisci molto più pienamente che un cd suonato nel chiuso del tuo studio è così la musica nulla è come ascoltarla dal vivo così si dice infatti come se ascoltarla da un semplice mezzo di riproduzione del suono fosse una cosa morta e incapace di darti tutto quello che ha dentro
Per tornare a casa siamo passati dalla piazzetta Sant Felip Neri ho capito ormai che le piazzette a Barcellona bassa sono il sale della vita in ognuna trovi qualcosa di nuovo qui a Sant Felip se non me l’avessero spiegato certo non avrei saputo vedere perché vedere capite è un verbo carico di teoria si vede davvero se si sa qualcosa di preciso il passeggero diceva Borges non vede lo stesso cordame che vede l’equipaggio vedere davvero richiede conoscenza e infatti appena entrati nella plaça de Sant Felip mi fanno vedere le numerose scalfitture della pietra sulla parete della chiesa omonima sono segni di pallottole mi raccontano che sono stati lasciati lì a testimonianza delle fucilazioni indiscriminate che ci furono al tempo della guerra civile e dàgli che io non volevo tornare su quel capitolo terribile della storia di Spagna ma non c’è scampo ci sono avvenimenti che impregnano talmente la storia di un paese che ogni pietra letteralmente come in questo caso ne parla anche se qui ne parla in un modo così generico che si rischia di non capire chi sparò a chi nessuno lo sa con certezza non so se starà scritto da qualche parte negli archivi degli storici di questa piazzetta e non so neanche se sia poi tanto importante perché io mi sento la pelle diventare tutta rigida e fredda appena mi identifico e penso adesso sono io quello che si deve addossare al muro e aspettare un colpo speriamo che finisca tutto subito ma ugualmente si irrigidisce la pelle se penso io sono quello che deve alzare il fucile e tirare il grilletto contro chi poi contro il marito di mia sorella che sta dall’altra parte mettiamo pure la parte sbagliata quella dei ribelli alla democrazia repubblicana perché non ha capito perché gli hanno raccontato bugie non è lui uno dei capi che hanno deciso quelli sì che hanno sulle spalle responsabilità insopportabili decine di migliaia di esseri umani di terra di Spagna uccisi torturati violentati spossessati di se medesimi privati di ogni dignità chi mai può dare il diritto a uomini di fare questo ad altri che poi inevitabilmente succede che anche nel nostro campo ingiustizie e ammazzamenti sempre mi ha tormentato quest’idea che quelli che prendevano ordini da Mosca fossero ostili ad anarchici repubblicani di vario genere come si farà mai a guarire questo difetto genetico della sinistra di dividersi al proprio interno fino a dilaniarsi ancora prima e con più ferocia di combattere il nemico eppure lì ci sono i segni sulla pietra ogni segno una pallottola voi capite da non osare guardare meglio tenerlo a freno il pensiero e tutti i teatri che si fanno in questi casi
Mi viene quasi tenerezza o forse com-passione quando sento le canzoni della guerra civile de las bombas se ríen mamita mia los madrileños los madrileños chi mai di quella gente fiera e dilaniata avrà riso delle bombe che fioccavano su Madrid o infine porque el proletariado mamita mía ganó la guerra ganó la guerra cuore con infinita generosità gettato oltre l’ostacolo che però stavolta era davvero troppo alto e del resto basta leggere dopo l’amaro Homage to Catalonia di Orwell i romanzi della tesa trilogia di Javier Marías Tu rostro mañana io so come sarà il tuo volto domani la guerra civile fa da basso continuo ostinato sotto tutte le storie ci vorranno generazioni per scrollarsi di dosso pesi come questi conservandone accuratamente questo sì una memoria dignitosa e distillata
Continuo a fare il viaggio
e con la sensibilità di Antonio Sparzani
la storia di un popolo si legge nella pietra
e forse per me su una spiaggia
dove le anime in esilio cercano a lottare
contro il vento, l’indifferenza, la barbarie,
la guerra civile e la privazione della terra natale.
Antonio l’ha letto da una danza con identità
alla terra e un muro che sopravvive al
mondo odierno, al tempo di un viaggio,
che è un viaggio dentro le radici di una città
senza lo sguardo sfocato di quello che passa
e dimentica.
Ah veronique, ebbasta!
[ Bill, fa parte anche lei di qualche Ronda di quelle che girano per i post a dettar legge? ]
Direi che in questa quarta Catalogna, forse per la mancanza di aneddoti precisi da raccontare, il fluire del fluxus si è fatto più naturale.
E non autorizza tutte quelle noiose rampogne sulla punteggiatura di certi critici da paura.
Bellissimo esperimento.
Ci sono notazioni che mi colpiscono e che sento particolarmente anche mie: quella di voler essere parte della Sardana, che condivido ogni volta che mi capita di assistere ai balli popolari di qualsiasi latitudine, quel desiderio di appartenere a radici, io sradicata passa valli.
E la compassione di fronte a un mio analogo speciale e doloroso muro, ancorà là, sbrecciato dalle pallottole.
Bellissime le immagini scelte.
Grazie.
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Grazie Orsola per il bellissimo commento.