Francis Ponge, Il partito preso delle cose
di Francis Ponge
traduzione di Jacqueline Risset
La candela
La notte a volte ravviva una pianta singolare il cui bagliore scompone le camere ammobiliate in cespugli d’ombra.
La sua foglia d’ora si regge impassibile nel cavo di una colonnetta di alabastro, attraverso un peduncolo nerissimo.
Le farfalle povere la assalgono preferendola alla luna troppo alta, che vaporizza i boschi. Ma subito bruciate o sfinite bella battaglia, tutte fremono sull’orlo di una frenesia vicina allo stupore.
Intanto la candela, con il vacillare dei chiarori sul libro nel brusco sprigionarsi dei fumi originari, incoraggia il lettore – poi si inclina sul suo piatto, e affoga nel suo alimento.
Gli alberi si disfano
all’interno di una sfera
di nebbia
Nella nebbia che circonda gli alberi, le foglie sono loro sottratte e queste, sconcertate da una lenta ossidazione, e mortificate dal ritirarsi della linfa a vantaggio di fiori e frutti, fin dalle grandi calure di agosto già erano meno attaccate ad essi.
Nella scorza si scavano canaletti verticali attraverso cui l’umidità del suolo è portata a disinteressarsi alle parti vive del tronco.
I fiori sono dispersi, i frutti vengono deposti. Dalla più tenera età, rassegnare qualità vive e parte dei loro corpi è diventato per gli alberi un esercizio familiare.
Il pane
La superficie del pane è meravigliosa prima di tutto per l’impressione quasi panoramica che dà: come se si avesse a disposizione, sotto mano, le Alpi, il Tauro o la Cordigliera delle Ande.
Così dunque una massa amorfa in stato di eruzione fu introdotta per noi nel forno stellare, dove indurendo si è foggiata in valli, creste, ondulazioni, crepe… E tutti quei piani subito così nettamente articolati, quelle lastre sottili dove la luce allunga con cura i suoi fuochi, – senza uno sguardo per l’ignobile mollezza sottostante.
Quel flaccido e freddo sottosuolo che chiamano mollica ha il tessuto simile a quello delle spugne: foglie o fiori vi stanno come sorelle siamesi saldate gomito a gomito tutte assieme. Quando il pane si rafferma i fiori appassiscono e si restringono: si staccano allora gli uni dagli altri, e la massa si fa friabile…
Ma rompiamola: nella nostra bocca infatti il pane deve essere piuttosto oggetto di consumo che di riverenza.
Il ciclo delle stagioni
Stanchi di essersi contratti per tutto l’inverno, gli alberi all’improvviso si lusingano dell’essere ingannati. Non ce la fanno più: lasciano andare le parole, un flusso, un vomito di verde. Cercano di raggiungere un infogliamento completo di parole. Tanto peggio! Tutto si metterà in ordine come potrà! Ma, in realtà, si mette in ordine! Nessuna libertà nell’infogliarsi… Lanciano, perlomeno lo credono, parole qualsiasi, lanciano gambi per appendervi ancora parole; i nostri tronchi, pensano, ci stanno per assumersi tutto. Cercando di nascondersi, di confondersi gli uni negli altri. Credono di poter dire tutto, poter ricoprire il mondo interno con parole variegate: non dicono altro che “gli alberi”: neanche capaci di trattenere gli uccelli che se ne volano via, mentre essi si rallegravano di aver prodotto fiori così strani. Sempre la stessa foglia, sempre lo stesso modo di spiegarsi, e lo stesso limite, sempre foglie simmetriche a se stesse, simmetricamente sospese! Tenta, ancora una foglia! – La stessa! Ancora un’altra! La stessa! Niente insomma che possa fermarli se non improvvisamente questa riflessione: “Non si esce dagli alberi con mezzi di alberi”. Una nuova stanchezza, un nuovo capovolgimento morale. “Lasciamo che tutto ingiallisca, e cada. Venga lo stato taciturno, lo spoglio, l’AUTUNNO”.
Il pezzo di carne
Ogni pezzo di carne è una specie di fabbrica, mulini e frantoi per il sangue.
Tubature, altiforni, vasche vi coabitano con i magli, con i cuscini di grasso.
Il vapore vi sorge, bollente. Fuochi cupi o chiari avvampano.
Ruscelli a cielo aperto trascinano scorie con il fiele.
E tutto ciò si raffredda lentamente verso la notte, verso la morte.
Avvengono subito, se non la ruggine, per lo meno altre reazioni chimiche, che emanano odori pestilenziali.
Questi testi, scelti da Gherardo Bortolotti, sono tratti da: Francis Ponge, Il partito preso delle cose, trad. di J. Risset, Einaudi, 1979.
testi preziosi
grazie per averli pubblicati
c
‘Ma rompiamola: nella nostra bocca infatti il pane deve essere piuttosto oggetto di consumo che di riverenza’.
Cosi’ pure con la poesia, l’arte e molte altre cose.
Bortolotti ti voglio bene
Molto belli. Mi permetto di segnalare un errore ortografico nel secondo brano, dove dovrebbe esserci scorza, non scorsa.
grazie.
(anche Il partito preso delle cose è fuori catalogo fuori commercio fuori fuori;alle vestali e ai guardiani della storia e del catalogo einaudi-mondadori:grazie grazie grazie…)
francis ponge, yves bonnefoy, rené char… nella memoria corta degli anni che ci è toccato vivere suonano come tanti carneadi
Ma che meraviglia! Se ne parlava quand’ero giovane poi, come tanti altri, s’è perso nel tempo…
Spero che parlerete del mio preferito in assoluto, Saint John Perse, uno di quei Nobel dimenticati in quanto non americani…
In Italia, “Vita del testo”, un’edizione curata da Bigongiari per Lo Specchio e apparsa nel 1971, è ormai introvabile. Rimane disponibile solo l’edizione einaudiana del “Partito preso delle cose” a cura di Jacqueline Risset del 1979. E per gli amatori, due testi pubblicati per le Edizioni l’Obliquo, in una sessantina di esemplari: “Testo sull’elettricità” nel 1997 e “Il sole in abisso” nel 2003…
La mancata ricezione di Ponge in Italia è abbastanza triste. Ponge infatti non è solo uno dei tanti poeti francesi dimenticati, poco letti, ecc. Ponge, nella prospettiva della poesia contemporanea francese, si è dimostrato una pietra angolare decisiva per molte delle cose migliori che sono state scritte negli ultimi venti-trent’anni.
In realtà, avremmo pure noi un amante degli oggetti umili e delle descrizoni da riscoprire, un poeta che non sfigurerebbe accanto a Ponge, Camillo Sbarbaro.
Si legga da uno dei primi paragrafi di “Trucioli”:
“Accendo il gas e dal nero calice di ghisa mi si sprigiona sotto gli occhi un ronzante fiore di fuoco. Ha forma di ninfea: due corolle, l’una nell’altra; l’esterna, fluida, di petali lilla, percorsi a tratti dall’oro della fiamma; l’altra di linguette, fisse e vivide come làmine, d’una tinta fra il topazio e il verderame”. (scritti tra il 14 e il 18!)
(Chi scrive bene come Bortolotti, si nutre bene!)
aggiungo tre link pongiani (e mi scuso se ritornano sempre i nostri nomi):
https://www.nazioneindiana.com/2009/04/02/passi-nella-poesia-francese-contemporanea-resoconto-di-un-attraversamento-1/
https://www.nazioneindiana.com/2009/04/06/passi-nella-poesia-francese/
http://gammm.org/index.php/2010/02/25/da-comment-une-figue-de-parole-et-pourquoi-francis-ponge-1977-i/
no comment sulla scomparsa di ponge dal catalogo eianudi, che scopro solo ora…
Forse “Partito preso delle cose” non è del tutto fuori commercio. Ne ho comperata una copia qualche giorno fa.
Ci sarebbe anche “Vita del testo”, uscito nello Specchio di Mondadori a cura di Bigongiari, con traduzioni prestigiose (anche Ungaretti). Magari un Oscar…
Per Andrea Inglese:
Se vuoi posso mandarti (in prestito) “Vita del testo” di F. Ponge, con testo a fronte e traduzioni varie (1 poesia P. Bigongiari; 15 Luciano Erba; 14 Jacqueline Risset; 2 Giuseppe Ungaretti) Mondadori Milano 1971, pp. 357, Lire 3.500.
Ancora dallo stesso libro:
È su una scala di legno da trent’anni mai tirata a cera, nella polvere delle cicche buttate sulla soglia, in mezzo a un plotone di impiegatucci meschini e selvaggi insieme, con la bombetta in testa, in mano la valigia da minestra, che due volte al giorno inizia la nostra asfissia.
Una luce reticente regna all’interno di quella chiocciola scalcinata, dove ondeggia a mezz’aria la raspatura del legno grezzo. Nel rumore delle scarpe issate stancamente da uno scalino all’altro, intorno a un asse sudicio, ci avviciniamo con andatura da chicchi di caffè all’ingranaggio stritolatore.
Ognuno crede di muoversi allo stato libero, perché lo costringe un’oppressione estremamente semplice, che non differisce molto dalla gravità: dal fondo dei cieli la mano della miseria gira il mulino.
Ponge era molto letto quarant’anni fa – magari è un molto relativo, ma insomma -, assai più di Sbarbaro, nei miei ricordi, che pativa il confronto con Montale, poi è scomparso.
Non credo tanto, come dice Sascha perché non era americano, ma perché è facile definirlo come lo definisce Inglese “un amante degli oggetti umili”, cosa che in parte è, e può sembrare a sua volta umile e privo di energia come gli oggetti di cui parla, di questi tempi.
Certo, il cazzotto viscerale, l’oggetto mercificato, l’impatto forte sono regali che ha fatto al nostro immaginario la cultura americana, in questo ha ragione Sascha.
non disperate, signore e signori, c’è sempre Neruda, dappertutto, del quale da pochissimo hanno sversato due ulteriori edizioni. evviva, come si dice, si va verso il miliardo. “confesso che” ho affittato un garage per collezionarle tutte…
(grazie del post, jokes a parte)
f.