Radio Londra: Paolo Mossetti

Perché Londra è una polveriera.
di
Paolo Mossetti
Intorno alla morte di Mark Duggan perdura a tutt’oggi una certa confusione: analisi balistiche, leggende urbane, perizie, smentite. Ma non è di questo che vogliamo parlare. Quello che ci interessa è come la capitale britannica, smentendo l’ottimismo di certi commentatori in vestaglia, abbia ancora una volta mostrato il lato oscuro del multiculturalismo e della ‘gentrificazione’, e tutto ciò nel mezzo d’un’estate che ha certificato il tracollo dell’Occidente da ogni punto di vista: politico, militare, economico. In questo clima funesto, la morte accidentale o meno di un disgraziato non è che una scusa, un fiammifero acceso. Tanto basta per molte rivolte urbane, e quando l’incendio è appiccato, non c’è niente che le fermi: si estendono, si sviluppano. Come una merce a buon mercato e di largo consumo.


E’ una guerriglia 2.0, titolano alcuni quotidiani britannici, perché si servirebbe degli stessi strumenti che spesso rimbambiscono e anestetizzano i rivoltosi, quando fa freddo: quei Twitter e Iphone che i teorici di moda dicono siano stati alla base delle rivoluzioni arabe: sarà, ma durante il recintaggio poliziesco a cui fummo sottoposti in seimila, nel novembre scorso, davanti Downing street, quelli muniti di aggeggini elettronici si dilettavano tutt’al più con Angry Birds o con gli sms, mentre i piu’ arrabbiati – i figli delle periferie degradate – avevano in mano solo cocci di bottiglia e mazze di ferro, ed erano gli unici a tentare di forzare il blocco. Senza contare che nessuno rischia di andare in galera o al pronto soccorso per un “passaparola” virtuale.

Sicuramente è una vicenda, quella dei riots londinesi, che guarda al futuro dell’Europa piu’ che al passato, anche se dal passato – in particolare dagli scontri di Brixton dell’81 e poi dell’85 – sembra recuperare una caratteristica fondamentale: non di scontro tra neri contro bianchi si tratta, e tanto meno di giamaicani, nigeriani, turchi contro la polizia. Questa rivolta ha un solo protagonista, un solo nome che molti si vergognano di pronunciare, ed è “proletariato”. Studenti e anarchici hanno forse “scaldato” il terreno, ma sono loro, i proletari, contro il resto della città.
Proletari del XXI secolo, certo, forgiati dalla cultura del centro commerciale, del Big Brother e dei tabloid. Il loro è un gesto di dissenso – irrazionale, inconsapevole, autolesionista forse – contro quel sistema delle merci che ogni tv e presentatore incoraggia a seguire, e che ogni governo di destra o di sinistra promette di far funzionare, senza spiegare come mai anni di sacrifici flessibilità alienazione siano valsi soltanto questo collasso senza fine.
Il tumulto è scoppiato non perché a Croydon, Tottenham o Hackney ci sia meno pane e meno lavoro che nel Sud Italia. E anche nella mia Peckham, dove pure hanno incendiato un paio di autobus, la qualità della vita è mediamente superiore alla periferia campana. Ma bisogna visitarli, certi tuguri di immigrati che lavorano dodici ore al giorno, capire con quanto razzismo la Londra a nord del Tamigi tratta l’altra meta’ – hic sunt leones –, e non solo fermarsi ai negozi di cupcakes, prima di dire che una zona è diventatata “vivibile”, “pacificata”.

Personalmente mi ritengo molto fortunato, per aver frequentato e per avere ancora la possibilità di conoscere persone di valore, minoranze attive o “persuase” che a Londra fanno del bene e non solo per se stesse, anche se è difficile trovare professionisti o anche “cervelli in fuga” preoccupati di qualcosa di più che della loro carriera, del loro star bene e – vedi i molti “artistoidi” di Hackney – della loro immagine.
Ma bisogna pur uscire dall’autocompiacimento e dal “quieto vivere”, dalle cronache di certi “corrispondenti” a spasso per Hyde Park, e capire che la nostra è una visione quasi sempre parziale. Purtroppo o per fortuna, il rispetto delle leggi, per certi poveri cristi che vivono consumando, producendo, crepando è solo formale, dettato dalla paura del carcere, e non certo per un radicamento / idenfiticazione con la società. Paradossalmente, un saccheggio può essere per molti occasione di riscatto, di fuoriuscita dall’anonimato, e addirittura un sollievo, un’euforia, un’urgenza e un desiderio di vita.

Dunque, la folla che è balzata in piedi come un solo uomo va fermata, dicono, e potremmo pure essere d’accordo, anche se non si capisce quale dovrebbe essere la pars construens di questo compitino in classe. Silenzio e solitudine: questa è la ricetta che ha sempre assaggiato la folla, dopo ogni tumulto. Il controllo sociale che penetra le menti, nell’oceano di consumo e sperpero senza limiti, sotto i giochi pirotecnici delle Olimpiadi: eccolo il sogno dei governanti. Mentre le sirene di polizia e le ambulanze continuano a squarciare, come un lamento, il crepuscolo che avvolge intere zone di citta dimenticate da Dio.

14 COMMENTS

  1. “Il loro è un gesto di dissenso – irrazionale, inconsapevole, autolesionista forse – contro quel sistema delle merci che ecc. ” No, non sono d’accordo con questa lettura. Questa gente non è affatto “contro” ma del tutto “a favore” del sistema capitalista. Ne sono semplicemente il grado zero, se non meno uno, nella scala sociale. In cima alla scala ci sono le devastazioni operate proprio in questi giorni dalla folla anonima dei “signori delle Borse” e delle falangi di operatori al loro servizio (quanta gente lavora, anche precariamente, nel sistema finanziario internazionale? io non ne ho idea ma mi piacerebbe fare una ricerca, in termini percentuali, rispetto a tutti gli occupati). Negli stessi giorni, lo stesso sistema produce devastazioni materiali attraverso le sue falangi viventi nel cuore del sistema stesso, l’UK. Quello che accade a Londra, e adesso a Manchester, Birmingham, le famosissime città ex-operaie, è l’altra faccia, quella non rispettabile, di ciò che il capitalismo è divenuto oggi, in questa sua ulteriore trasformazione che, socialmente, fa assomigliare i tempi nostri a quelli di quando tutto iniziò, fra Sette e Ottocento.
    Il saccheggio di oggetti del desiderio consumistici non fa dei loro autori degli antagonisti del sistema ma dei protagonisti in trentaduesimo che mettono in evidenza la fattualità dell’antica frase che “la proprietà è un furto”. Non è affatto paradossale, come sostiene Mossetti, ma del tutto organico e funzionale al sistema, ne è la sua manifestazione estrema. Io non so come si possa fare a recuperare questo Lumpenproletariat a una coscienza di classe di cui ora non c’è in esso il minimo barlume. Ben contenti di essere servi del sistema, una volta fumati inalati iniettati gli ultimi spiccioli prodotti dalla vendita delle ultime sneakers arraffate, torneranno ad esserne schiavi, senza nemmeno delle catene da perdere.

  2. Caracaterina,
    ti ringrazio per il commento che userei come integrazione per il mio pezzo. purtroppo per mancanza di spazio non ho potuto approfondire. ma e’ cosi’.
    E’ una rivolta insieme ‘contro’ il sistema – nel senso che ne rifiuta le regole, rifiuta l’attesa di una carriera, di un master, di un Phd per conquistere quel miserabile lusso che, come insegna la pubblicita’ qui sotto, e’ un ‘diritto’.

    http://www.youtube.com/watch?v=ndsrWjVxVpc

    E allo stesso tempo e’ una rivolta pienamente ‘dentro’, e infatti ho sottolineato come il lumpenproletariat di cui parliamo e’ certo aggiornato agli anni Dieci, cresciuto a pane e Grande Fratello. Su questo non ci facciamo illusioni. Pero’ anche un sistema di schiavi ha le sue regole, o no?

  3. @Mossetti e caracaterina

    una domanda, per curiosità. Voi, conoscete direttamente le persone e le dinamiche di cui parlate? Vivete o avete vissuto a stretto contatto, o fatto parte di gangs dei quartieri di Londra o del Regno Unito in generale?

  4. @Madame Anais
    Io ho vissuto per due anni tra Peckham e Brixton, di cui ho conosciuto molti abitanti di strati sociali diversi. In piu’ d’una occasione, durante i moti studenteschi di questo inverno, mi sono confuso con la folla che partiva da li’ per mettere a ferro a fuoco le vie del centro. Molto spesso e’ stato solo freddo, con la paura d’essere arrestato e rispedito in Italia. In alcuni casi confesso di essermi anche divertito.

  5. Madame, la Sua domanda è chiaramente tendenziosa e provocatoria e nasconde, molto male, l’arroganza di un antiintellettualismo parecchio sospetto: la mistica dell’esperienza diretta è la negazione della capacità di lettura e studio. Per farLe un esempio di quanto consegue dalla Sua insinuazione: chi non ha conosciuto direttamente il nazismo, non ne parli!

  6. Ma no, non credo che madame anais sia tendezioso, provocatorio, o che voglia fare semplicemente pubblicita’ al libro citato sopra. Credo che voglia sapere se, per caso, un italiano nato a napoli e cresciuto a milano, abbia deciso di scrivere delle gangs nere di Londra solo dopo averci passato un anno in totale fusione.
    Mi dispiace di deluderlo ma no, non ho ricevuto ancora nessuna coccarda di approvazione antropologica dalle gangs nere di londra.

  7. @ Caracaterina

    E perchè mai, tra le tante possibilità, associa proprio il “nazismo” ai fatti di Londra? Devo concludere che la sua risposta alla mia domanda precedente è: NO, Lei, non conosce direttamente quelle persone. Mi basta. Grazie. Continui pure le sue analisi sul “Lumpenproletariat”, la mia era pura curiosità femminile.

  8. Madame Anais sembra sottintendere che solo le gang nere di Londra hanno diritto di parola su questo argomento e lei chiaramente sa di cosa parla…
    Che poi, dalle immagini, i saccheggiatori siano neri, bianchi, gialli e marroni (un trionfo del multiculturalismo consumista, direi) le è indifferente: lei ha occhi solo per le sua amate gang nere.
    Piuttosto c’è un’altra cosa che mi interessa: perchè per i fatti d’Egitto e Tunisia ci si è esaltati tanto per il ‘ruolo decisivo’ di telefonini, Twitter, Facebook e quant’altro mentre qui si fa finta di niente ed è colpa di tutto eccetto che di telefonini e social network? Proprio vero che ogni istituzione online, anche la più seria e onesta, non può fare a meno di far pubblicità ai padroni della Rete…

  9. Madame, scusi, yawwhhhnnn …

    Sascha, credo che un po’ tu abbia ragione. Sul tema che sollevi, trovato solo questo, in un blog:

    http://ilnichilista.wordpress.com/2011/08/09/londonriots-i-social-media-e-gli-scontri-a-londra/

    Paolo, continuo a pensare che la contraddizione che descrivi tu sia solo apparente: le devastazioni degli speculatori di borsa che stanno fracassando conti pubblici e privati per accaparrarsi profitti lussuosi e volatili sono omologhe a quelle di vetrine e negozi da cui prelevare oggetti costosi ed effimeri. Solo che speculatori e masse eccitate giocano allo stesso football in serie diverse. Non sono le regole ad essere diverse, sono le chances. E nessuno dei giocatori ha in capo di cambiare le une o le altre.

  10. Anche a me venivano in mente termini come “Lumpenproletariat” o più semplicemente “sottoproletariato”, ma il problema è duplice: che i “Lumpen” (che significa “stracci”) avevano le Nike ai piedi già prima di rubarle – cosa che non rende la loro condizione meno disperata, anzi – e soprattutto che sopra al sottoproletariato esiste ormai solo un proletariato o una classe operaia residuale. Quindi non si vede nessuna direzione di arrivo, di emancipazione, di presa di coscienza e/o di potere possibile, ma solo l’appropriazione momentanea di un brandello della torta che si sta sempre più sbriciolando.
    In questo senso, concordo con Caracaterina.
    Se nel fu occidente avanzato, non c’è lavoro dignitoso nemmeno per i giovani borghesi, che prospettiva possono mai avere quelli che sono FUORI?

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017