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Lo stato terrorista 2

di Antonio Sparzani
0593 - ECHOS
Qui la prima puntata.
Notizia bomba di questi giorni sembra essere lo spionaggio USA sulle comunicazioni di tutti, in particolare dei governanti dei paesi loro cosiddetti ― per amore o per forza ― alleati, che quindi devono, di fronte alla pubblicazione inattesa delle notizie, mostrarsi indignati, la Bundeskanzlerin in prima linea, ben s’intende, come sempre. Eppure, verrebbe da dire, la cosa si sapeva da tempo, almeno dalla prima uscita di Snowden, e probabilmente da prima, guarda caso che perfino i nostri servizi (che nome ben scelto!) sembra dessero manforte.

Quando sento questo la mia prima reazione è quella cinica che prende ormai quasi tutti, ovvero le persone disincantate, quelle senza più incanto di niente, quelle per le quali tutto è oramai noto e scontato. Ma subito dopo mi prende invece un senso di scandalo, di vergogna, di dolore acerbo per l’appartenenza ad un paese inossidabilmente alleato di questa banda di cialtroni e arroganti delinquenti che costituiscono senza eccezione l’elite governante degli Stati Uniti d’America, casa bianca, pentagono, NSA e CIA.
Personalmente sono stato un anno negli USA, con una loro borsa di studio nei lontani anni ’70, trent’anni prima delle torri gemelle, ai tempi di Nixon e del Vietnam. La borsa durava 21 mesi, ma dopo 12 mesi ho deciso irrevocabilmente di troncare e di tornare in Italia: avevo visto abbastanza, non volevo perdere un giorno di più della mia vita in una terra così abbandonata da qualsiasi senso di umanità. In Italia (io sono tornato a settembre 1972) era presidente della repubblica Giovanni Leone e capo del governo Giulio Andreotti: delle meraviglie, al confronto, non ho dubbi.
Da allora la situazione umana degli Stati Uniti è andata continuamente peggiorando. Ridotti, a prezzo di violenze inaudite, ai minimi termini i legittimi abitanti nativi di quelle terre, esaurite, e soffocate nel sangue, le lotte operaie dei primi decenni del secolo, spentesi, dopo l’intervento della Guardia Nazionale che uccise quattro studenti alla Kent State University, Ohio, 1970, le pallide, ma foriere di speranze lotte studentesche, la molto determinata follia capitalista, in questa particolarmente virulenta varietà, ha preso senz’altro il sopravvento e procede a vele spiegate.
Adesso c’è il datagate, perché gli sciocchi si sono lasciati sfuggire un pesce non così piccolo che ha cominciato a raccontare cose. Ma, mi chiedo io, i governi alleati, oltre a scandalizzarsi, a protestare, a minacciare, cosa possono realmente fare? Come possono/possiamo controllare se davvero quelli smettono di intercettare, con quale sofisticata tecnica? Io non lo so. Sappiamo tutti bene che fidarsi della parola di un presidente, Obama poi peggio (ascoltatevi Noam Chomsky sull’argomento) di altri, è impensabile: dire la verità è fuori della mentalità statunitense, è una cosa che non esiste: se proprio occorre dire qualcosa, va detto esattamente quello che conviene. Magica parola conviene, parola che asciuga e protegge tante situazioni, parola che contiene un bel misto di giustificatoria leggerezza e di ammiccante complicità: stai attento, caro, non ti conviene! Lo sa bene l’Elettra di Sofocle quando si rivolge alla madre Clitennestra: « . . . so che faccio cose inopportune e a me non convenienti . . .» (Sof., El., 617-18).
I nostri ineffabili omologhi dicono che sotto il mare corrono 26 reti e nessuno è in grado di escludere che l’Italia sia stata oggetto di spionaggio ― il nostro paese è al centro del traffico tra 4 continenti. Ma non abbiamo elementi, così Emma Bonino, per sapere che i nostri siano stati intercettati. Come dire, certo che sì ma non ce ne siamo neppure accorti. Enrico Letta dice: «Non sono concepibili zone d’ombra tra alleati, quali siamo e intendiamo continuare ad essere
Ho qualche conseguenza da trarre da tutto questo: la prima e la più banale è che la tecnologia, che forse in sé non è né buona né cattiva, in mano ai cattivi è sempre cattiva.

La seconda, altrettanto ovvia, è che i trattati internazionali, le convenzioni unanimemente approvate, anche tra alleati, valgono finché valgono, cioè finché, ecco di nuovo il verbo fondamentale, convengono. Quando non convengono più, si rompono, senza tanti complimenti e nessuno può farci niente, salvo dichiarare guerra o, ammesso che ne abbia il potere, imporre ritorsioni commerciali.

La terza, connessa con la seconda, è che la legge fondamentale, quella che decide in ultimissima istanza, è sempre quella della forza, come tra i primati e tra gli animali in generale. Nulla di stupefacente, ma non facciamoci illusioni bizzarre.

2 COMMENTS

  1. Peraltro l’Italia è abortita anche per le strane connessioni CIA – mafia – organismi di stay behind residuali (vedi Mattei e P2).

  2. Allora, scusatemi, se leggo i migliore sito di letteratura, etc, italiano, provenendo da altri siderali spazi, più a destra che a sinistra. Scusatemi, nonostante la stima che ho per voi, noi (ahahahah), qui, scusate il mio revisionismo. Ma forse Sparz non ha ragione, bensì ne ha, come si dice, sacrosanta.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato anche due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia, pubblicato presso Mimesis. Ha curato anche il carteggio tra W. Pauli e Carl Gustav Jung, pubblicato da Moretti & Vitali nel 2016. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.