La lezione di storia di Benigni

[Ripubblico questo articolo di Banti, uno dei migliori storici italici (e che, detto per inciso, ha scritto un eccellentissimo manuale per le scuole), per restituire la giusta dimensione all’intervento del non-più-comico toscano a Sanremo che ha ahimé suscitato plausi bipartisan, plausi che – quantomeno quelli non di destra, laddove quelli di destra sono naturaliter interessati a restituire una dimensione mitologica all’idea di Nazione – evidentemente non hanno saputo valutare la sua superficialità, la sua ignoranza di alcuni dati ormai acquisiti del dibattito storiografico, e dunque la sua nocività. Sui temi in questione Banti ha scritto, di recente, Sublime madre nostra. mr]

di Alberto Mario Banti

Roberto Benigni a Sanremo: ma certo, quello che voleva bene a Berlinguer! Quello che – con gentile soavità – insieme a Troisi scherzava su Fratelli d’Italia … Che trasformazione! Sorprendente! Eh sì, giacché giovedì 17 febbraio «sul palco dell’Ariston», come si dice in queste circostanze, non ha fatto solo l’esegesi dell’Inno di Mameli. Ha fatto di più. Ha fatto un’apologia appassionata dei valori politici e morali proposti dall’Inno. E – come ha detto qualcuno – ci ha anche impartito una lezione di storia. Una «memorabile» lezione di storia, se volessimo usare il lessico del comico.
Bene. E che cosa abbiamo imparato da questa lezione di storia? Che noi italiani e italiane del 2011 discendiamo addirittura dai Romani, i quali si sono distinti per aver posseduto un esercito bellissimo, che incuteva paura a tutti. Che discendiamo anche dai combattenti della Lega lombarda (1176); dai palermitani che si sono ribellati agli angioini nel Vespro del lunedì di Pasqua del 1282; da Francesco Ferrucci, morto nel 1530 nella difesa di Firenze; e da Balilla, ragazzino che nel 1746 avvia una rivolta a Genova contro gli austriaci. Interessante. Da storico, francamente non lo sapevo. Cioè non sapevo che tutte queste persone, che ritenevo avessero combattuto per tutt’altri motivi, in realtà avessero combattuto già per la costruzione della nazione italiana. Pensavo che questa fosse la versione distorta della storia nazionale offerta dai leader e dagli intellettuali nazionalisti dell’Ottocento. E che un secolo di ricerca storica avesse mostrato l’infondatezza di tale pretesa. E invece, vedi un po’ che si va a scoprire in una sola serata televisiva.
Ma c’è dell’altro. Abbiamo scoperto che tutti questi «italiani» erano buoni, sfruttati e oppressi da stranieri violenti, selvaggi e stupratori – stranieri che di volta in volta erano tedeschi, francesi, austriaci o spagnoli. E anche questa è una nozione interessante, una di quelle che cancellano in un colpo solo i sentimenti di apertura all’Europa e al mondo che hanno positivamente caratterizzato l’azione politica degli ultimi quarant’anni.
Poi abbiamo anche capito che dobbiamo sentire un brivido di emozione speciale quando, passeggiando per il Louvre o per qualche altro museo straniero, ci troviamo di fronte a un quadro, che so, di Tiziano o di Tintoretto: e questo perché quelli sono pittori «italiani» e noi, in qualche modo, discendiamo da loro. Che strano: questa mi è sembrata una nozione veramente curiosa: io mi emoziono anche di fronte alle tele di altri, di Dürer, di Goya o di Manet, per dire: che sia irriducibilmente anti-patriottico?
E infine abbiamo capito qual è il valore fondamentale che ci rende italiani e italiane, e che ci deve far amare i combattenti del Risorgimento: la mistica del sacrificio eroico, la morte data ai nemici, la morte di se stessi sull’altare della madre-patria, la militarizzazione bellicista della politica. Ecco. Da tempo sostengo che il recupero acritico del Risorgimento come mito fondativo della Repubblica italiana fa correre il rischio di rimettere in circuito valori pericolosi come sono quelli incorporati dal nazionalismo ottocentesco: l’idea della nazione come comunità di discendenza; una nazione che esiste se non ab aeterno, almeno dalla notte dei tempi; l’idea della guerra come valore fondamentale della maschilità patriottica; l’idea della comunità politica come sistema di differenze: «noi» siamo «noi» e siamo uniti, perché contrapposti a «quegli altri», gli stranieri, che sono diversi da noi, e per questo sono pericolosi per l’integrità della nostra comunità.
Ciascuna di queste idee messa nel circuito di una società com’è la nostra, attraversata da intensi processi migratori, può diventare veramente tossica: può indurre a pensare che difendere l’identità italiana implichi difendersi dagli «altri», che – in quanto diversi – sono anche pericolosi; può indurre a fantasticare di una speciale peculiarità, se non di una superiorità, della cultura italiana; invita ad avere una visione chiusa ed esclusiva della comunità politica alla quale apparteniamo; e soprattutto induce a valorizzare ideali bellici che, nel contesto attuale, mi sembrano quanto meno fuori luogo.
Ecco, con la performance di Benigni mi sembra che il rischio di una riattualizzazione del peggior nazionalismo stia diventando reale: tanto più in considerazione della reazione entusiastica che ha accolto l’esibizione del comico, quasi come se Benigni avesse detto cose che tutti avevano nel cuore da chissà quanto tempo. Ora se questi qualcuno sono i ministri La Russa o Meloni, la cosa non può sorprendere, venendo questi due politici da una militanza che ha sempre coltivato i valori nazionalisti. Ma quando a costoro si uniscono anche innumerevoli politici e commentatori di sinistra, molti dei quali anche ex comunisti, ebbene c’è da restare veramente stupefatti.
Verrebbe da chieder loro: ma che ne è stato dell’internazionalismo, del pacifismo, dell’europeismo, dell’apertura solidale che ha caratterizzato la migliore cultura democratica dei decenni passati? Perché non credo proprio che un simile bagaglio di valori sia conciliabile con queste forme di neo-nazionalismo. Con il suo lunghissimo monologo, infatti, Benigni – pur essendosi dichiarato contrario al nazionalismo – sembra in sostanza averci invitato a contrastare il nazionalismo padano rispolverando un nazionalismo italiano uguale a quello leghista nel sistema dei valori e contrario a quello solo per ciò che concerne l’area geopolitica di riferimento.
Beh, speriamo che il successo di Benigni sia il successo di una sera. Perché abbracciare la soluzione di un neo-nazionalismo italiano vorrebbe dire infilarsi dritti dritti nella più perniciosa delle culture politiche che hanno popolato la storia dell’Italia dal Risorgimento al fascismo.
(pubblicato sul manifesto, 20/2/2011)

129 COMMENTS

  1. Condivido pienamente l’analisi fatta sull’intervento “interventista”, dico io, di Roberto Benigni a Sanremo.
    Quel che più mi rattrista però, è l’ammiccamento di chi, pur essendo possessore di una cultura differente si lascia abbindolare da queste “facili” lezioni di storia o di morale!

  2. Benigni certamente ha abbondato in retorica e ha fatto qualche erroraccio storico, ma questa lettura mi pare largamente pretestuosa e gli attribuisce dei concetti che il comico toscano non ha affatto espresso. Al di là di questo, comunque, mi preme precisare che la nazione è (anche) discendenza di sangue, comunità allargata, condivisione di storie e di tradizioni o, come si dice oggi, di narrazioni. Peraltro, smarrendo la consapevolezza “terragna” che l’Italia è anche Nonna Marietta che macinava il grano al mulino di famiglia (per dire) quello che resta è proprio la dimensione mitologica, retorica, facilmente travisabile e, questa sì, potenzialmente pericolosa.

  3. Contrasti: “Affermo che ‘noi’ ha, di norma, una valenza contrappositiva, nel senso che si contrappone a un ‘loro’ fatto anch’esso di esseri umani… di quelli sbagliati” R.Rorty.

    Premesso che, proprio tenendo conto di questo, l’opposizione più tosta diventa quella fra l’io e il voi – immaginando un tentativo di dialogo -, credo che Benigni abbia cercato di ristabilire un noi non oppositivo, facendo risaltare la gioventù dei combattenti con tutta la retorica sui giovani, e il desiderio di non sentirsi più spossati, e non tanto un orgoglio patriottico escludente. Ma ha “cannato” con gli strumenti che gli sono stati dati – ricordandosi che il format quello concedeva. Purtroppo.

  4. E bravo Banti, che dice bene. (e concordo pure sull’eccellenza del suo manuale di storia -meglio del Revelli)
    Io credo ahimé che ” nella più perniciosa delle culture politiche che hanno popolato la storia dell’Italia dal Risorgimento al fascismo” ci siamo dentro già da un pezzo.

  5. articolo completamente sballato… nel merito, perché la performance di Benigni non andava evidentemente nella direzione di un nazionalismo italiano da contrapporre a quello leghista. inoltre, si è trattato della spiegazione delle parole dell’inno e degli avvenimenti storici citati da Mameli e oramai oscuri per la maggior parte della popolazione…
    sembra che a certi storici e a questo sito la divulgazione stia molto sulle palle… prendiamo nota, anche se in totale diasaccordo…

  6. E infatti quella di oggi, a ben guardare, sembra sempre più un’Italia sostanzialmente ormai «semi-analfabeta» in termini di democrazia e senso dell’identità nazionale che, proprio per questo, cerca ancoraggi in un’alfabetizzazione che susciti in qualche modo una forma di «calore nazionale». Il tormentone «Stiamo uniti» del Festival…

    Riflessioni come quella di Mario Banti diventano allora capitali, se si vuole evitare la cosa peggiore che oggi sta accadendo, e cioè che ci si ancori a tutto, si accetti tutto, ogni ciambella così com’è, pur di non naufragare.

    La colpa probabilmente non è tutta di chi lancia le ciambelle magari in buona fede, trovandosi incredibilmente a sopperire al ruolo degli storici, dei politici, degli intellettuali… ora destituiti di credibilità (penso alle affermazioni dell’odierna classe dirigente sull’inutilità di studiare la Storia all’università!) ora inadeguati al proprio ruolo.
    La colpa è soprattutto, a mio avviso, di chi le raccoglie senza sollevare alcuna obiezione, senza contemplare la possibilità che non vadano proprio bene in tutto e per tutto solo perché servono appunto a non naufragare.

    Anche questi sono i rischi di vivere in un paese in continua «emergenza» identitaria o democratica senza contraltari capaci di svolgere il proprio ruolo o messi in condizione di farlo…

    Insomma siamo allo «Stiamo uniti» pronunciato con enfasi acritica, e questo certo fa un po’ paura per chi crede che la democrazia è dialettica tra posizioni diverse che trovano un punto d’equilibrio.

    Poi, beh, Roberto Benigni fa il suo mestiere. Non si può chiedere a Roberto Benigni di fare lo storico. Non è né giusto né (a mio avviso) sensato. Questo è il primo errore…

  7. Voglio dire, non si può analizzare come una «tesi», la performance di un attore. Fatto salvo, tutto quel che ho detto prima, e che riguarda però più in generale la «malattia» del nostro paese.

  8. laserta, a me la divulgazione non sta affatto sulle palle. Il punto è: come è fatta la divulgazione. Se semplifica e semplificando tradisce e fa passare un messaggio sbagliato, allora non è una buona divulgazione, e deve, e sottolineo deve, essere criticata. Per focalizzare un dettaglio: l’elogio dei Savoia – che, udite udite, sono la dinastia più antica d’Europa. Che fossero una dinastia macchiata d’infamia, niente. Sono i più antichi d’Europa, e che cavolo, e sono italiani, quanto è bello essere italiani! Questa è retorica elementare di cui non si sottolineerà mai abbastanza la nocività, perché poi la “gente” che le ascolta ci crede, restano impresse nelle loro reti neurali, e cancellano tutto il faticoso lavoro fatto dagli storici (e non solo da loro).

  9. Grazie Marco. Se non lo postavi tu l’avrei citato io in qualche commento.
    Quoterei anche il buon natalino balasso, comico divenuto ingiustamente famoso solo con Zelig.

    La parte migliore è quella dove Benigni proclama: ‘Se Scipione non avesse vinto a Zama, oggi non saremmo così come siamo, saremmo Fenici e Mediorientali..’
    E’ la parte che mi ha impressionato di più.
    Davvero un concentrato di originalità.
    A parte che Scipione non era proprio italianissimo, ma proprio da Benigni, dovevo sentirmi fare questo elogio del Sangue? Questa frase poteva dirla benissimo la Fallaci moribonda. C’era bisogno di distruggermi il mito che spuntò a Televacca nel 1972 per proclamare la nostra purezza?
    Saremmo Fenici e Mediorientali! Ah, meno male che c’è Benigni con i suoi 250,000 euro di cachet a ricordarmi quanto siamo stati fortunati.
    Vent’anni fa gli Almamegretta cantavano ‘Figli di Annibale’ e nessuno si scandalizzò. Segno dei tempi questo.
    E perché non aggiungere che se vincevano i tedeschi diventavamo tutti ariani, e se non ci salvavano gli americani i marocchini francesi stupravano tutte le nostre donne? E magari: se non c’è la Lega, diventeremmo tutti mussulmani.
    Una pernacchia da Natalino Balasso gli basta e lo sovrasta.

  10. E’ vero, Paolo, anche quella parte è terrificante. Perché il trascendentale di quel discorso è: esiste una continuità storica fino dai tempi remoti. Noi siamo quelli là. E grazie a Dio non siamo diventati quegli altri.
    Come se l’Italia non fosse esattamente un miscuglio, come se dopo i romani non ci fossero stati meticciati secolari, come se l’Italia – la sua ragione d’essere, se una ve n’è – non coincidesse proprio con quel meticciato secolare. E questo era un altro modo – decisamente più veritiero – per dare un’interpretazione di “che cos’è” l’Italia.
    Benigni ha scelto di fondare l’identità italiana su una menzogna fondativa: che esista una “stirpe” italica da più duemila anni, e che sia “proprio quella lì” (il riferimento al tode tì aristotelico non è casuale).
    Ecco, Evelina, perché Benigni deve essere criticato, esattamente come una “tesi” (ché tale è) di uno storico, e anche di più.

  11. Ma, vi chiedo in tutta sincerità, l’errore, la malattia sta nella performance di Benigni – con tutto quel che si può dire in un senso o nell’altro su quella performance (non voglio rientrare nel merito in questo momento) – oppure nel fatto che questo paese sia costretto a pendere dalla labbra di Roberto Benigni invitato al Festival di Sanremo (con tutto quel che significa per sua stessa natura il festival di Sanremo…) per riconoscersi?

    Ps: e dico questo perché, a mio avviso, la telefonata del Presidente della Repubblica (che personalmente ritengo l’unico garante vero della dignità del nostro paese in questo momento) a Roberto Benigni la dice lunga sul rischio che sta correndo oggi questo paese…

  12. Certo che è una malattia il fatto che “questo paese sia costretto a pendere dalla labbra di Roberto Benigni invitato al Festival di Sanremo”, eccome se lo è. Anzi, è una questione a più ampio raggio di quella in oggetto. Ciò non toglie che per arrivare a mutare il suo segno bisogna passare da questioni di raggio meno ampio come questa, che non è certo destituita nel suo valore negativo dal fatto che possa essere concentricamente racchiusa nell’altra questione…

  13. Ma una «tesi», Marco, non si sostiene in un festival della canzone italiana…

    Critichiamo quanto vogliamo, la critica è intelligenza delle cose, è misura delle cose, se è fatta in modo serio e argomentato. Temo chi teme le critiche.

    Ma se siamo costretti a questo, a esigere da Benigni rigore storico come qualcosa che può condizionare il destino di questo paese (cosa che credo possa avere un qualche fondamento visto, ripeto, la telefonata del Presidente della Repubblica) il problema sta proprio lì…

  14. Evelina, intendiamoci. Una “tesi” (da thiqmi, porre) è implicita in qualsiasi discorso (così come una visione del mondo esiste in qualsiasi essere umano, non è necessario che sia filosofo). Non è questione di “rigore”. E’ questione, molto semplicemente, di verità, e insieme di scelta politica. E’ questione che un intervento come quello fa passare una visione del mondo (dell’identità in questo caso) piuttosto che un’altra. Ed è molto più performativo – nel senso di: produttore di effetti – un intervento come quello che non il libro di uno specialista. Ecco perché, ripeto, deve essere smontata, decostruita: perché essa, avvalendosi del mezzo, produce effetti nefasti.

  15. non condivido assolutamente tutto cio’
    ancora una prova di quanto i cosidetti “giornalisti di sinistra” (PARLIAMO DEL MANIFESTO) siano incredibilmente conservatori e chiusi

    RINGRAZIAMO GENTE DEL GENERE SE IN ITALIA LA SINISTRA è COSì MALEDETTAMENTE FRAMMENTATA E MOSCIA
    RINGRAZIAMO QUESTA GENTE SE C’è UN SILVIO BERLUSCONI CHE CI STA MANDANDO IL PAESE IN MALORA

  16. La mia impressione (lì sul momento) è stata che Benigni abbia usato una certa retorica per attaccare l’immagine di Berlusconi (i fatti “memorabili”, più volte ripetuti, contro le gesta miserabili, si direbbe) e della Lega (Unità vs federalismo). E non è il solo, purtroppo, in questo paese, a usare quel tipo di retorica. Pensiamo all’idea del governo di responsabilità nazionale, alle “differenze” (reali?) che raccoglierebbe… è come se il campo fosse ormai uno solo, dopo la famosa discesa in campo (quante battute ci fece lo stesso Benigni…).

  17. Non fatico a credere che la lezione di Benigni sia stato quello scempio di cui ci parla Banti ( del resto è più o meno quello che hanno insegnato a me alle elementari), però non ci possiamo nascondere dietro un dito: il problema che solleva Banti è quello che la storia italiana come storia unitaria è una menzogna che conduce all’odio degli altri. Da questa prospettiva si ha ben poco da obiettare al revisionismo leghista e a quella più subdolo papista. Sulla ricezione della storia d’Italia varrebbe forse la pena che nazione indiana aprisse un confronto più ampio, ma insomma penso che sia più utile considerare il risorgimento una rivoluzione largamente incompleta, ma pur sempre ciò che di più significativo è successo in Italia. Come tutte le rivoluzioni o semirivoluzioni anche il risorgimento ha avuto le sue mitologie e le sue retoriche, che personalmente trovo stucchevoli, ma certo molto meno pericolose di tante altre che circolano oggi

  18. Mah io non sono propriamente d’accordo. Io ho apprezzato l’intervento di Benigni per quello che è, e nel suo contesto. Il palco di Sanremo si relaziona ad un determinato tipo di pubblico, e non a quelli come noi, che hanno studiato e hanno un cervello per pensare men che meno per un luminare di storia.
    Alla fine Benigni riesce dove i luminari falliscono, riuscire a coinvolgere la folla, e la massa che non conosce certi argomenti ma ci si appassiona.

    Capisco Banti e il suo disappunto, perchè sicuramente è un grande intellettuale e giustamente si sente colpito da un certa faciloneria storica. Capisco un poco meno la sua paura di un benigni ispiratore di moti nazionalistici. In Francia glorificano Napoleone che era un sanguinario, eppur non mi sembra che li si ammonisca con tale veemenza.
    Un certo spirito patriottico può far bene, sopratutto in un’italia allo sbando e menefreghista. Dove si fa a gara politici compresi a metterla in culo allo stato.

  19. ‎”quell’allegria di vivere nel paese che uno ama…e che uno dice a me mi piace proprio tanto…quello è sano..un sano patriottismo è la cosa più salute che ci sia nel mondo..voler bene al luogo dove si sta. Poi non è che mi sento ‘parla troppo, non fa mai bene’. Non esiste il troppo amore. O sei innamorato o non sei innamorato. Quando si ama, quando SI SENTE LA BANDIERA, chi sente questo, non vive per il carpe diem, CHE E’ UNA COSA TRISTISSIMA.”
    Che originalità. Che commozione. Che anarchismo.
    Abbiamo bisogno di tutto questo?

    aldilà che benigni a sanremo, ripeto, qualunque cosa avesse detto sarebbe comunque stata filtrata e non a caso non ha detto nulla di geniale, quello che dico e’ che nel 2011 noi che non siamo intellettuali d’accatto o da Zelig ma esseri pensanti e cosmopoliti possiamo andare oltre queste lezioncine,e dire che è sano vivere bene nel paese che uno ama, ma anche senza baciare la bandiera (a meno che non si tratti della Nazionale: ma lì è un gioco e fa sangue) e senza provare ‘amore’ per il suolo patrio. a forza di dire che siamo allegri e che dobbiamo amare dove siamo nati finiremo per accettare tutte le cose piu’ disgustose dalle quali invece o si deve fuggire o ci si deve rivoltare.
    E poi, se permetti, proprio da benigni sentirmi dire che il ‘carpe diem’ e’ una cosa tristissima, 20 anni dopo il maestro keats della Dead Poets Society, è il segno che tra costituzione, popolo viola e berlusconismo siamo diventati proprio un popolo depresso e grigio.

  20. Due osservazioni.
    La prima. Mi pare ci sia un equivoco enorme: noi non ci sentiamo membri di una collettività nazionale non perchè ci sentiamo cittadini del mondo, o magari europei, ma perchè ognuno sta per i cavoli propri. Potrei aggiungere che in un periodo di globalizzazione galoppante, magari i governi delle singole nazioni provassero a difendere la propria comunità invece di scrivere i provvedimenti economici sotto dettatura della cupola affaristico-mafiosa che domina il mondo.
    La seconda. Capisco che dire che siamo gli stessi da due millenni non sia “politically correct”, ma un fondamento a questo cavolo di nazione glielo vogliamo dare? Il risorgimento non va bene senon altro perchè inquinato dai Savoia, la storia dell’Italia è inguardabile e certo non ammirabile nei 150 anni trascorsi, d’accordo anche su questo. Lasciamo anche perdere l’antica Roma, troppo lontana ed esempio discutibile. Ma dico, cosa ci può essere di male a identificarsi nel rinascimento italiano?
    Io davvero credo che tutto ciò che fa dell’Italia un luogo prezioso l’abbiamo ricevuto in eredità da quei lontani antenati, tutta la ricchezza culturale italiana delle mille culture locali, che se ti sposti di dieci chilometri trovi un’altra lingua, altra gastronomia, altre abilità ed altre architetture, se non è questo fiorire di mille differenti piante in un contesto paesistico particolarmente felice, in cosa allora dovremmo riconoscerci?
    Siamo un popolo vecchio in una nazione nuova, e quindi non possiamo avere un’epopea come quella americana ad esempio. Le epopee sono menzogne ed a volte menzogne vergognose come quella americana basata sul sistematico genocidio degli indigeni, ma hanno creato una nazione. Se riuscissimo a trovare un criterio di appartenenza meno impresentabile di quello di quasi tutti i popoli (sapeste, per citare un altro caso, il patriottismo polacco tutto basato sull’odio per tedeschi e russi!), potremmo anche provare a contentarci. Invece, come è costume nostro, stiamo sempre a fare le pulci, senza contestualmente avanzare un’alternativa, qualunque essa sia, anche la fine di questa nazione se è questo che si desidera.

  21. Bene. E che cosa abbiamo imparato da questa lezione di storia?

    Sarà poco originale ma … io una cosa l’ho imparata :-) non so se sia molto o poco, ma è stata una rivelazione. Non so voi, ma io non ho mai prestato molta attenzione all’inno d’italia: 20 anni di fascismo con un tracimare di retorica nazionalista e (non dimentichiamolo) 50 di dominio vaticano (tramite la dc) che di per se è sovranazionale e che soprattutto non ha mai digerito Porta pia, non hanno certo invitato le generazioni di italiani ad approfondire neutralmente l’inno di mameli (che di per se, musica e poesia, è pure scadente come quasi tutte le composizioni militanti e politiche italiane).
    Malgrado i tentativi di pertini e poi ciampi (ambedue partigiani)
    la maggior parte degli italiani odia il nazionalismo (e fa bene), ma a tal punto da confonderlo totalmente con il senso patrio che da noi sembra quasi una bestemmia (sentimento che ha rinnegato, e appaltato localisticamente ai leghisti nel nord e ai neoborbonici nel sud) e finisce per odiare anche la nazione unita sancita dalla costituzione. Insomma in questa situazione è chiaro che a nessuno di sinistra oggi, a meno che non sia un po’ pazzo, verrebbe mai in mente di leggersi con attenzione l’inno di mameli.
    Bene, infatti io, ignorante dell’inno, ho sempre pensato che quel “stringiamoci a corte” fosse un atto di fede nei confronti della pessima monarchia nostrana :-(, ergo per me: inno di mameli nell’immondizia … e rispolverato e tollerato solo ai mondiali di calcio. Poi benigni con la gentile soavità poetica che lo distingue mi dice che * a corte* non è la corte del re ma cohortes (dal latino) … una perifrasi … una metafora (magari non bella ma gli inni belli sono pochi) … uno stratagemma per dire *stringiamoci a coorte*, cioè a coo di cohortes, compatti, uniti perchè solo uniti si vince. Beh, ma allora è tutto un altro discorso … ora ci penserò meglio … ma mentre a corte mi faceva vomitare a priori … a coorte mi fa riflettere … sarà poco ma per ora non mi dispiace :-)))) ergo grazie benigni :-)))).
    Il banalotto alberto maria banti invece mi dice che non si deve essere “contro lo straniero” :-), certo … che discorsi, certo, se lo straniero è l’immigrato o anche gli altri europei OGGI …. ma lo straniero di allora era l’occupante, il colonialista imperiale, l’oppressore, lo sfruttatore … e per me, sarò tera tera, ma è giusto, anche oggi, essere contro l’oppressore e l’occupante ed è giusto lottare contro lo straniero per uno stato indipendente (se dio vuole oggi non ci riguarda personalmente). Tra l’altro anarchismo, socialismo e comunismo sono nati da noi solo perchè esisteva ormai la nazione, prima sarebbe stato impossibile.

    l’incredibile banti poi dice:

    con la performance di Benigni mi sembra che il rischio di una riattualizzazione del peggior nazionalismo stia diventando reale

    A me non sembra proprio, e sinceramente mi spaventa di più la genericità dello stesso Banti ma lasciamo perdere ….

    Riguardo a La Russa o Meloni mi sembra non abbiano problemi a stare con chi con la bandiera ci si pulisce il culo ;-), io, pur essendo di sinistra, non lo farei mai, forse perchè la Resistenza fu chiamata (in base ad una definizione geniale di Carlo Rosselli) Secondo Risorgimento o forse perchè nel simbolo del pci da dopo la guerra, c’è sempre stata anche la bandiera italiana …

    Già ma dimenticavo in italia i comunisti e la Resistenza non sono molto ben visti da quando impera la tv di Al Porcone ;-)

  22. Georgia, io che l’inno diceva coorte e non corte lo so dalle elementari, non c’era bisogno di questa lezione. Il “banalotto” Banti fa un discorso fondamentale invece. Mettiamola così. Oggi la destra (con ampia egemonia tra i giovani, per dire) gioca l’identità italiana proprio sulla contrapposizione noi/loro. L’avversione per gli immigrati (per “loro”) è componente essenziale di questo ideologema. E dunque? Non c’è più l’orizzonte inernazionalista al momento, bene, strappiamogli l’idea d’Italia dalle mani. E come? L’unico modo, secondo logica vuole, sarà proprio quello di scardinarlo da quell’impianto noi/loro. E giocarlo su un’altra dimensione (l’Italia come luogo d’incroci, come dicevo prima). Così magari lo strappi a quel tipo di visione. Benigni invece ha ricostruito l’identità sulla sostanzializzazione della stirpe italica sempre in relazione a un “altro” (i fenici e i mediorientali, e poi via via tutti gli stranieri). Di chi ha fatto il gioco?

  23. Vincenzo (e Watanabe), probabilmente è vero che un senso di appartenenza sarebbe il modo, oggi, di costruire quel senso civico, di responsabilità civile, che oggi manca. Ma appunto si tratta, come dicevo poc’anzi, di costruirlo in senso non “esclusivo”. Se lo giochi tutto sulla chiave noi/loro, allora manchi il bersaglio. Il Rinascimento, dici. Ma appunto sarebbe molto diverso. L’esaltazione dell’Umanesimo, la messa in gioco delle differenze, la moltiplicazione degli ingegni.. e così anche l’epoca precedente, il suo meticciato costitutivo…

  24. mi perdoni, Revelli, ma credo che l’intervento di Banti e il suo rilancio qui su Nazione Indiana siano fuori fase per due ragioni:
    – Benigni è un comico. E, di origine, proprio un comico televisivo. Non si può pretendere da lui che abbia verificato ogni affermazione alla luce degli ultimi articoli pubblicati su “Storia della storiografia” o sull'”Archivio storico italiano”. Con tutto il rispetto per la disciplina e gli studiosi, sono due ruoli diversi. Poi ce la possiamo raccontare con gli atti performativi, ma esistono contesti e forme della comunicazione.
    – Si deve considerare anche l’intervento nella sua totalità. E io credo che Benigni, linguisticamente, abbia inferto colpi durissimi proprio a certa facile retorica politica. Quando spiega a Bossi: “E’ la vittoria che è schiava, non Roma!”, illumina gli italiani su un ventennio di volgarità razziste della Lega. A me non pare un’operazione nefasta o priva di senso…
    – E’ molto facile prendere le distanze, sempre e comunque, da ogni forma di divulgazione popolare. Con la supponenza dell’intellettuale di sinistra. Anche qui, vogliamo uscire da questo stereotipo che ci trasciniamo dietro?? Concordo sul fatto che in Italia non esiste una narrazione completa e antiretorica di certi temi ma, vi prego, non prendiamo il discorso attaccando la performance di Benigni. E’ un mezzuccio polemico, e pure un tantino triste.

  25. mi perdoni il refuso.
    ah, comunque, giusto per dire: agli atti esistono documenti che provano come l’idea di nazione sia presente già ai tempi di Dante. Questo lo dovevo agli illustri storici che pontificano sulla retorica di Benigni.

  26. “Alla fine Benigni riesce dove i luminari falliscono, riuscire a coinvolgere la folla, e la massa che non conosce certi argomenti ma ci si appassiona”

    ah già, tutto fa brodo!

    se la massa, il popolo bue, ed io faccio parte del popolo bue, passa attraverso l’afabetizzazione storica delle stronzate massoniche declamate dal caro populista benigni, e ci si appassiona, la massa che si vuole ignorante e bue, senza uno straccio di analisi critica, senza strumenti, senza senso della storia che la storia l’hanno scritta sempre i vincitori ed hanno fatto passare genocidi e porcate immonde e pornografia varia per necessità e patriottismo e amenità varie, se la massa, dicevo, la si compiace titillandole l’amor di patria ed un generico senso di appartenenza , cosa può sortirne?
    state scherzando? ci fate? ci siete?
    roba da chiodi! :)
    baci
    la fu

  27. Benigni invece ha ricostruito l’identità sulla sostanzializzazione della stirpe italica sempre in relazione a un “altro” (i fenici e i mediorientali, e poi via via tutti gli stranieri)

    Ma da cosa lo deduci?
    a me sinceramente non è sembrato,
    I fenici poi … dai scherziamo? gli etruschi (discendenti forse dei fenici) ci hanno lasciato in toscana (e benigni è toscano) la gorgia (le aspirate intevocaliche) … come potrebbe mai benigni vederli come altri da sè?
    La lingua italiana poi, su cui spesso benigni si sofferma, nasce in sicilia (dove poetavano tutti arabi, a cui forse dobbiamo la forma sonetto, ed ebrei compresi), poi sale a firenze e poi si espande e si contamina con la strepitosa lingua nazionale di Dante…
    Il Rinascimento, di cui giustamente dovremmo andare fieri, anche se non amano dirlo, è imperniato di molta cultura mondiale (arabi musulmani compresi) … insomma dove sarebbe ‘sta identità sulla sostanzializzazione della stirpe italica sempre in relazione a un “altro”? ma siamo impazziti? L’altro della lezione di benigni (e anche dell’inno di mameli) è l’occupante, austriaco o spagnolo, mica il povero immigrato :-).

    Ora vedrai che, in questa logica, se quattro sfigati di casa pound amano gramsci e il che io dovrei buttarli nell’immondizia … io butto prima casa pound, e gramsci me lo tengo stretto ;-) e così fo’ anche per rinascimento, risorgimento ecc …questo naturalmente non toglie che non rifiuto certo Dürer, Goya, Manet … in questi giorni molti discutono di benigni e ognuno ha la sua terna di personaggi esteri da opporre (sempre però rigorosamente europea) e mi incuriosiscono sempre le scelte, chissà in base a quale logica identitaria vengono tirate a sorte :-)))),

  28. io vi confesso di essermi arrabbiato sul serio.
    la mia emotività mi ha forse fatto sbagliare il bersaglio (leggendo le vostre riflessioni mi accorgo che sono molto più generali delle mie), ma mi ha colpito molto la mistificazione storica fatta ai danni del povero mameli.

    perché l’ex comico tace per tutta la sua lunga performance sul CHI ERA MAMELI e sul CHI HA UCCISO MAMELI: dire che l’assassino di mameli è stato pio ix (beatificato nel 2000, a proposito di mistificazioni…), e dire che la breve repubblica romana fu uno spiraglio di progresso politico VERO (suffragio universale, abolizione della pena di morte…), avrebbe inciso una crepa profonda sulla lapide nazionalista-buonista-bipartisanista che l’ex comico ha messo sopra il risorgimento.

    d’altra parte, pochi minuti prima erano stati cantati sacco e vanzetti senza minimamente citare il fatto che fossero anarchici, e facendo dipendere la loro persecuzione dalla loro “italianità”.

    quanto bisogno c’è di banti, di rovelli, di n.i., per riuscire almeno a mantenere un livello minimo di discussione pubblica…

  29. Tutto drammaticamente vero quello cui allude Banti riguardo alla retorica risorgimentale.

    PERO’ se non si considera il fatto che quel discorso televisivo a Sanremo sia stato pronunciato dal «burattino Benigni» – tutt’altro che espressione di presunte superiorità di razza, etnia, di virile nazionalismo… vuoi per i modi, il suo stesso gesticolare, vuoi per il fisico, vuoi per le stesse parole pronunciate (ll lessico, il tono, la sintassi che contribuiscono a fare il senso di un discorso in modo molto rilvante!) – certo che tutto diventa espressione della peggiore retorica nazionalista, e non la performance che è, con i suoi limiti storici e i suoi pregi televisi.

    Per questo, personalmente, non sono d’accordo a trattare il DISCORSO di Benigni come una «tesi», perché in quella «tesi», in quella «visione» bisogna allora metterci anche tutto il resto che attiene al «burattino Benigni», buffo, fisicamente inadeguato, antiretorico… se no… si tradisce il TESTO che si svuole analizzare.

  30. Georgia, l’altro immigrato è percepito da molti, oggi, (leghisti o pidiellini che siano) come invasore. La questione, ripeto, è scardinare l’identità dalla polarità noi/loro (su cui tutta la concione benigniana è giocata, e se non lo vedi che dirti? – e non c’entrano nulla Pound e Gramsci) e reincardinarla su altre coordinate.
    Comunque adesso devo andare, hai campo libero…

  31. Evelina, se con/testualizzi il testo nella sovradeterminazione del burattino – io arriverei a dire che è ancora peggio, visto che certe cose passano sicuramente meglio così che non in postura militaresca… comunque non ho tempo di approfondire, devo andare davvero

  32. Per il resto, ben venga, anzi è drammaticamente necessaria la discussione pubblica su argomenti così capitali che non possono, ripeto, essere appannaggio di un attore comico invitato a una trasmissione come Sanremo.
    La drammaticità sta nel fatto, ripeto, che quel discorso abbia assunto la portata di una verità storica, sta nella circostanza in cui oggi viviamo in questo paese.

  33. d’altra parte, pochi minuti prima erano stati cantati sacco e vanzetti senza minimamente citare il fatto che fossero anarchici, e facendo dipendere la loro persecuzione dalla loro “italianità”

    siccome non ho visto sanremo (ma solo benigni) mi spieghi meglio, vuoi dire che una delle canzoni parlava di sacco e vanzetti?

    riguardo alla repubblica romana hai ragione ed è interessante che tu l’abbia ricordato, ma …. se si comincia a criticare benigni per quello che NON ha detto non si finisce più e ognuno avrebbe la sua pietra da lanciare (di omissioni come sempre ce ne sarebbero per tutti i gusti) , limitiamoci a criticare o apprezzare quello che ha detto, in quello spazio di tempo e nel suo ruolo di clown ;-)

  34. Georgia, l’altro immigrato è percepito da molti, oggi, (leghisti o pidiellini che siano) come invasore

    a parte la follia assurda della cosa a cui non credono neppure loro e che naturalmente è solo mediatica per far colpo a mo’ di spot … a parte questo che ne poteva sapere il povero mameli che nel terzo millennio ci sarebbero stati dei coglioni come i leghisti?

  35. Marco, ma è reazionario anche commemorare i caduti della Resistenza? O quelli di ieri in Egitto? Di oggi in Libia?

  36. @georgia

    Io ho sempre saputo ‘coorte’. Quindi? Benigni poi viene da Prato le cui istituzioni cittadine sono assolutamente inadeguate, incapaci di integrare la numerosa comunita’ cinese ad esempio. L’impostazione del comico toscano quindi mi e’ piaciuta ancora di meno che se fosse venuto da Canicatti’.

  37. L’Inno di Mameli comunque resta un orrore. Un testo da commentare solo sotto lauto compenso per un pubblico nazionalpopolare.

  38. In passato ho vissuto quattro anni a Firenze. E verso i Cinesi c’e’ un razzismo strisciante, con dichiarazioni di autorita’ pubbliche piu’ inquietanti di quelle di un povero pazzo come Borghezio.

  39. Dunque, un ’48 attraversa il nord-Africa, un dittatore bombarda il popolo e la quarta potenza industriale dell’Europa è guidata da un personaggio il cui nome è e vieppiù associato al concetto di corruzione (in tutti i suoi sensi). Per fortuna che Banti (e Rovelli) ci fanno vedere quali siano le cose che contano veramente.

    Ricordiamocene la prossima volta che si parla del ruolo degli intellettuali.

  40. @ AMA “Benigni poi viene da Prato…ho vissuto 4 anni a Firenze…” e quindi, zitto. Da cui segue che, come italiani, non dovremmo parlare di niente. Dato chi ci governa. È così?

  41. Georgia la coorte è una Schiera di fanti dell’esercito romano che contava da cinque a seimila uomini. l’ha detto paro paro Benigni stesso. Tradotto nel risorgimento italiano vuol dire robba de guèra, de ggènte meja ripubbricana che vòle ammazza ggènte ‘nfame papalina e monarchica…

    Incredibile. ha ragione La Funambola a dire tutto fa brodo, ma in questo preciso caso poteva dire meglio: tutto fa frodo… e anche che la gallina vecchia risorgimentale fa buon frodo. oppure che Benigni ha avuto un comportamento scientificamente corretto, non dimenticandosi di provenire biologicamente dal frodo primordiale. evvia evvia.

    Possibile non vi accorgiate che in Italia siamo arrivati al punto di DOVER fare interventi comico didascalici a tema su commissione, infarcendo piccole verità di clamorose bugie, altrimenti il popolo non capirebbe… vien voglia di cominciare ad essere secesessionisti… ma no, più semplicemente, vien voglia di secedere dallidiozia nazionale, emigrare e basta… tenetevelo pure questo centro di spesa chiamato Stato Unitario, sul quale una classe di borghesi privilegiati fa da sempre una CLAMOROSA cresta, arricchendosi sempre di più a danno dei sempre più numerosi poco o nulla abbienti. e non cambierà nulla nemmeno con la spesa suddivisa per territorio, quello che chiamano federalismo e che federalismo non sarà, nel quale sempre gli stessi ci faranno la cresta; gli stessi che per prudenza rallentano il processo più che possono, gli dovesse sfuggire un euro di pubblica commissione…

    non si capisce proprio cosa cazzo state difendendo. mi riferisco ovviamente a chi attacca Banti sostenendo Benigni.

  42. Sono contenta di leggere gli interventi di banti e rovelli, che dicono sicuramente meglio d me quello che dalla sera della lunga performance di benigni continuo a ripetere, senza sentire, nemmeno tra alcuni degli amici cari con cui condivido passioni e vita, particolari segni di sdegno. Lavoro a scuola, alle medie, e so quanto e’ difficile in questo momento storico scardinare i pregiudizi e le risorgenti tentazioni pseudo nazionalistiche, basate tutte sull’eterna creazione dell’altro come nemico. L’intervento di benigni e’ pericoloso proprio perché apparentemente innocuo. Perché a persone poco meno che avvedute e con una cultura storica sufficiente, appare circostanziato, sicuro e quindi vero. E in più arricchisce la vulgata classica sul Risorgimento con piccoli dettagli che le danno aura di verità storica accertata. Benigni e’ colto, ha letto la divina commedia, sa quello che dice… E giu tutti a credere. Non per fare battute cretine, ma da li’ all’ obbedire e combattere il passo puo’ essere corto. Benigni, e’ vero, e’ un uomo colto e ha scelto con cura le sue parole e i suoi esempi. Ed essendo intelligente sapeva perfettamente che tipo di discorso avrebbe fatto nel tentativo, difficilissimo peraltro, di fare una presunta esegesi del testo di mameli. ha scelto di non parlare della repubblica romana, ha scelto di non nominare l’assassino del giovane mameli, ha scelto di impostare tutto il suo discorso su un pericoloso quanto infondato senso identitario pseudo nazionalistico, tirando in mezzo i romani, Scipione e la battaglia di zama Per cui grazie a banti e rovelli.

  43. Quali intellettuali dopo 20 anni di regime berlusconiano? Napolitano dovrebbe dismettere una sua certa connaturata retorica borbonica e favorire lo scioglimento delle Camere.

  44. Scusate, ma scrivo da un iPad e mi e’ partito il commento non finito e non riletto… Comunque il succo del discorso c’e’… In bozza, ma c’e’.

  45. Io ho sempre saputo ‘coorte’. Quindi?
    vuol dire che le vostre (tua e di marco) maestre vi insegnavano e spiegavano l’inno :-), la mia non l’ha fatto.

    Benigni a parte sto ascoltando gheddafi (dopo il discorso dell’ombrellino di ieri, oggi ne ha fatto un altro) e capisco perchè è amicone di berlusconi … SONO TUTTI E DUE PAZZI da legare. Prima ha detto che i manifestanti sono tutti drogati, di al qaida e del bath … poi ha detto: se fossi un presidente vi avrei già offerto le dimissioni. Ma voi state per affrontare il leader di una rivoluzione in una roccaforte … Evitate che i vostri figli cadano vanamente

    1000 morti a tripoli per il bombardamento

    Brrrr brrrrrr … dateci due o tre gheddafi e poi … anche la parola rivoluzionario …. ci vorranno 150 anni per riabilitarla, tutto sommato meglio tenerci cari i presidenti, ma quelli parlamentari e non nominati dal poppppolo come al porcone l’amicone di bunga bunga di gheddafi

  46. ama, davvero vedi napolitano con una connaturata retorica borbonica?
    a me piace … forse perchè mi sa di istituzionale;-) dopo l’orgia di populismo alla io boja di berlusconi e bossi … la retorica di napolitano mi sembra quasi un balsamo ;-)… forse è anche per questo che benigni non mi ha per niente scandalizzato dopo anni di forza italia, di bandiere per pulircisi il culo, di ditone mostrato da volgarissime matrone …. un po di sano goffredo mameli morto per la repubblica romana è stato una rivelazione… beati i popoli che non hanno bisogno di eroi e soprattutto beati quelli che non hannoa vuto per 17 un coglione a pontificare da 3 tv nazionali

  47. D’accordissimo con Banti e Rovelli. L’ex comico, l’ex dissacratore (forse l’ex toscano!), ha ricoperto mezz’Italia di una melassa retorica unilaterale e priva di complessità, dunque non solo banalizzante ma anche, come ha spiegato Banti, falsificante. Assurdo dire che si trovava a Sanremo e non poteva far altro che semplificare.
    Si può benissimo essere patrioti senza avvalorare le esagerazioni e le falsità di un ventenne dell’Ottocento.

  48. @Andrea_Branco

    La dichiarazione piu’ squallida e deprimente degli ultimi mesi? L’ha fatta Renzi, ovviamente, nonostante le buone intenzioni, quando dice… “Non voglio che i nostri figli facciano i badanti dei Cinesi”. Ma in quale paese vivete se si possono dire pubblicamente cose del genere? E quando si parla di Italiani a quali Italiani vi riferite? Ma vi rendete conto di quanto siate indietro, atrofizzato il cervello da decenni di berlusconismo?

  49. Non nego che, da insegnante di italiano e storia, mi son sentita davvero in imbarazzo ad ascoltare alcuni terribili sfondoni di Benigni, come capita quando qualcuno che ami fa una brutta figura. Sinceramente ho letto per vedere se qualcuno mi ispirava e mi aiutava a trovare argomenti a favore, a vantaggio, a onore di Benigni. Sono contenta che ci sia più di un qualcuno. Perché condivido quasi tutte le critiche di Banti nel merito storiografico però mi fanno venire in mente le analoghe e uggiose critiche professorali degli italianisti di professione al Benigni (grandissimo) che recita Dante. Non toccano il punto, sono fuori centro, non c’entrano.
    Basterebbe arrivare in fondo al discorso di Benigni e non espungerlo dalla sua interpretazione finale dell’inno per capire l’intenzione che guidava la performance (non “la lezione”, diobono, era uno spettacolo!, aveva un valore estetico, prima di tutto, sensoriale, emozionale e attraverso questo canale – non libresco e saggistico – voleva veicolare un sentire, un ethos e non conoscenze e competenze da studioso).
    Il timore del noi/loro inteso nazionalististicamente ce l’aveva anche lui, tant’è vero che si è preoccupato di essere chiaro in questo senso e su questa sua attenzione non si può glissare tra parentesi o lineette come fa Banti. E nel suo intervento da comico, ovvero dal basso, dalla pancia, dalle viscere, NON ha smentito la sua intenzione di evitare il nazionalismo, come invece apparirebbe dalle citazioni fatte dai suoi critici. Come scrive Evelina, è il suo corpo di burattino che smentisce ogni retorica nazionalista, (ed è il suo corpo che si impone, sempre, sulla scena). Al contrario, i suoi toni di voce, i suoi sudori, il suo umore (humor) smascheravano da un lato la montata retorica leghista che è apparsa chiaramente uno dei suoi bersagli, dall’altro il disvalore dell’indifferenza, dell’apatia, della perdita del senso di appartenenza a una comunità sostituito, come patiamo, dal solo interesse immediato ed economicamente remunerativo, individualistico, cinico e furbetto. Ripeto, si fraintende, si travisa e si fa torto all’operazione Benigni-inno, se si dimentica quell’interpretazione solitaria, sommessa, quel canto notturno di giovane piccolo e insignificante che potrebbe morire l’indomani per una causa, per un’ idea, che potrebbe, lui, non avere nessun futuro eppure sta lì, con altri che hanno i suoi stessi pensieri, non scappa, non pensa ai cazzi suoi, non si cerca un papi, non si presta a un bungabunga qualunque, non si fa venire dubbi pretestuosi che fungano da onorevole alibi per astenersi, delimitare, abbandonare. Ma non sentivate, non vedevate, che a cantare quella roba lì era un partigiano in montagna? Non sentivate che in quell’interpretazione c’era la tradizione popolare della Resistenza? E che i “tedeschi” – vocabolo molto poco politically correct, oggi, ma andatelo a dire a un expartigiano – sono sempre “loro”, (“loro”, infatti) gli strapotenti colonialisti, i razzisti, gli oppressori? Vi preoccupate perchè non ha più senso parlare male dei “tedeschi”, oggi? Perchè “straniero”, oggi, non evoca più l’imperialista oppressore ma il povero rom o africano che, pure, molti pensano come “invasore”? Beh, non è di Benigni la responsabilità nè l’avallo. Lui ha pescato in un baule dimenticato in soffitta e ne ha tirato fuori cianfrusaglie e memorabilia (memorabile!, infatti), cercando di trarne il valore di un senso di appartenenza che va oltre l’immediato, oltre l’utile, persino oltre il tifo calcistico, pensa un po’. E non è eticamente poco, non lo è.

  50. anche io d’accordo con banti e rovelli.
    se continuiamo a dormire, è proprio perchè ci basta perfino un ormai decotto benigni, che falsifica la storia dal palcoscenico da operetta di regime di sanscemo, per gridare al miracolo e pensare che si sta educando er popolino ignorante. niente di più falso e fuorviante.
    era meglio se parlava solo di ruby, si facevano una sonora risata, e finiva lì.
    del resto da lì aveva cominciato, per “prendere per mano” er popolino, e portarlo alle altezze siderali della sua lezione (omogeneizzata) di storia e amor patrio.
    siamo messi proprio male.

  51. SCIOGLIMENTO soppraditutto delle cucine, se no non se ne esce… Ama grazie per la citazione che mi era sfuggita del sinda’o novativo che non vuole fare l’abbadante ai cinesi, che secondo me saranno i cinesi a non volerlo nemmeno come abbadante, e nemmeno i suoi parenti.

  52. quando l’ha detto renzi, e ha messo la C maiuscola a cinesi?

    Renzi è un caso a se … uno che poi va come sindaco dal presidente del consiglio e va nella sua dimora privata a milano invece che a palazzo chigi a roma per me è un caso disperato … non disperato come berlusconi, ma insomma dovrebbe andare a lezione di educazione civica a imparare a cosa servono e come nascono le istituzioni … paghiamo i palazzi istituzionali (con personale e tutto) e poi al porcone riceve i sindaci nei suoi palazzi?

    Io personalmente per italiani intendo chiunque viva e lavori sul suolo italiano e sottostante alle leggi italiane ecc. clandestino compreso … però mi piacerebbe che ogni italiano conoscesse un po’ di educazione civica e di storia cosa che non consce neppure un italiano residente da svariate generazioni

  53. Helena, celebrare i caduti delle “resistenze” usa tutt’altre coordinate. Non la stirpe e gli altri: il discrimine, lì sì, implica una scelta etica, assunzione di responsabilità, una divisione che passa per delle decisioni e non per “destino”.
    Pensieri Oziosi, i tuoi pensieri oziosi in effetti potevi risparmarceli. Come se parlare di Benigni significasse dimenticarsi della Libia, ma che stai a di? Non vale nemmeno la pena di replicare alla tua cattiva retorica.
    caracaterina, mi verrebbe da dire che di buone intenzioni è lastricato l’inferno…

  54. caro larry
    sono una donna e sono anche madre
    mi fa specie, mi dispera, mi indigna, mi fa male, sopra tutto il pensiero di alcune donne, di sinistra :) che si accoda alla retorica della violenza maschile e il monologo di benigni è di una retorica vomitevole, retorica che esalta psicopatici ambiziosi a scapito del popolo bue che si fa massacrare o massacra in nome degli ideali di patria libertà giustizia eguaglianza e fraternità :)
    la storia è una sequela di orrori ingiustificabili, non una passeggiata a cavallo col tricolore in mano, davanti ad una folla plaudente in un teatro di gente per bene con in prima fila uno schizzato dal sorriso cavallino
    essere “grandi” significa scendere da cavallo, avvicinarsi al “tipo” in oggetto, sputargli in un occhio, davanti a milioni di teledipendenti, risalire sul cavallo, impennarsi e affanculare gioiosamente al grido” ma chi volete pigliare per il culo!”
    con affetto
    la fu

  55. che bello la Fu quello che dici! di grande effetto… solo mi chiedo, allora perché non la finiamo e scendiamo in piazza tutti quanti in massa come hanno fatto i libici, i tunisini, gli egiziani… ma non per qualche ora e i cartelli rosa, per giorni, occupando le città, chiedendo le dimissioni del Governo e il processo immediato di Berlusconi?
    no dico, se Benigni non ha fatto bene il suo lavoro di clown, almeno pensiamo a fare noi bene il nostro dovere di cittadini che esercitano il nostro diritto… no? altrimenti sono solo chiacchiere e distintivo, le tue e le mie.

  56. cara natalia
    io ci ho una roulotte
    sarei lieta di condividerla e campeggiare in qualche piazza in compagnia dei miei “fratelli” italiani e non per q.b.
    si potrebbe chiamare la rivoluzione “comoda”
    cambio anche con una tenda, l’importante è stare al coperto che l’umidità notturna mi fa male e pregiudicherebbe il mio ardore rivoluzionario :)
    baci
    la fu

  57. designare al parlaggio un comico o una personalità chicchessia al gran festivàl della imbalsamazione italiana è già un indizio di prevedibilità. quanto meno. istituzione, media, frivola bellezza, numero di spettatori, decoro. già per questo, essere invitati e accettare è un atto irreversibile.
    ne consegue prima di tutto uno spettacolo. scarso. noiosetto. e poi, come dice Banti, pure basso-istintuale.

  58. a me, che la fu mi è sempre stata civilmente sulle balle….
    stasera scendo dal somaro pantesco e le do un bacio, senza vessilli e bandiere.
    fu, non mi ribaciare però, che sono allergica a tutti i tuoi sbacicchiamenti!

    natalia, non me ne volere….ma con questi cavalli bianchi e tricolori al vento, in piazza non ci scenderà mai nessuno, al massimo ti puoi aspettare un televoto….o al limite un mi piace.

  59. dimentivavo, funambola, perchè ti avrei baciata.

    “essere “grandi” significa scendere da cavallo, avvicinarsi al “tipo” in oggetto, sputargli in un occhio, davanti a milioni di teledipendenti, risalire sul cavallo, impennarsi e affanculare gioiosamente al grido” ma chi volete pigliare per il culo!”

    anche se sarebbe stata una vera rivoluzione non concordata, e benigni la televisione se la sarebbe scordata per il resto dei suoi giorni, ma avrebbe davvero firmato con il sangue questo sanremo, per aver davvero dato fuoco alle micce…e invece, ha fatto il suo numero circense….che già a scendere da cavalo non gli è venuto facile….ci vuole allenamento anche in queste pinzellacchere….

  60. cara stalker
    avevo avvertito la tua “diffidenza” nei miei confronti e ammetto che spesse volte i tuoi pensieri mi hanno “infastidita”
    e sto usando eufemismi
    mi porto avanti e ti mando a fare in culo, sia mai che ci si innamori! :)
    baci
    la fu

  61. un plauso al commento di caracterina
    mi chiedo leggendovi che avete visto? cosa avete soprattutto sentito ..
    è curioso che benigni abbia fatto da specchio a fantasmi e sogni di chi lo ascoltava
    errori storici, approssimazioni .. ok, ci sono stati
    non è che gli stranieri erano solo cattivissimi ..
    ma secondo voi se fosse stata una performance di bieco nazionalismo e altamente retorica la russa avrebbe avuto una semiparesi? ma se ride di solito alle battute sul berlusca o anche su di lui (mica aveva quella faccia con luca e paolo che sfottevano)
    per un momento ho creduto ce ne saremmo liberati per ictus ;)

    ma la retorica sui giovani? chi cavolo c’è oggi di giovane che lotta per il suo paese? ma più chiaro di così lo volevate il comizio?
    ha detto senza dire esplicitamente .. per questo ha parlato alla pancia e ha risvegliato appunto vari fantasmi

    alcune forzature di troppo (sui borboni ad esempio o sui savoia) un po’ troppo lungo ..
    ma cavolo!!! io non ho imparato niente .. fortunatamente al liceo la storia l’ho studiata .. ma è come le sue lezioni su dante .. è altro ..
    ti fa venire voglia di approfondire
    certo che c’era il rischio della lettura idiota nazionalista e becera, ma come già detto lui stesso ne era preoccupato
    ed è stato un tribuno più che uno storico
    da qui la paresi alla prima fila del teatro.

  62. ma bacia chi vuoi, Stalker :) ci mancherebbe. la nostra amicizia non è basata sul thread in questione, spero.
    l’equazione (non equitazione) cavallo-piazza, non regge, non è quello che ho detto, lo sai questo vero? semplicemente mi sono stancata di “questo” circo, e scendo. ciao.

  63. natalia, io sul circo non ci sono mai salita, perchè quel cavallo bianco mi faceva tristezza, e quel cavaliere traballente ancor di più, e poi contro gli animali nei circhi mi sono sembre battuta, quindi neanche devo scendere.
    (con la sincerità che sai, e senza nessuna cattiveria)

    funambola, il tuo vaffanculo è per me una garanzia e un salvacondotto.
    giammai mi potrei innamorare di te, anche se hai detto un paio di cose che non mi sono dispiaciute.

    fine OT
    OFF

  64. Morandi, assai mediocre, come sempre, porta al Festival le donne del momento, due vallette berlusconiane che fanno da copertura ad un malavitoso e ad un attore hollywoodiano probabilmente entrambi omosessuali, mentre Luca & Paolo banalizzano il bunga bunga di Nano Pazzo facendo falsa satira di costume. Benigni patetico, sotto lauto compenso, fa una lezioncina assai discutibile su un testo incomprensibile come quello del nostro inno nazionale, mentre Vecchioni eroico vince col voto popolare, cantando una canzonetta che non vuole essere tale.

    Devo aggiungere altro?

  65. “Ma c’è dell’altro. Abbiamo scoperto che tutti questi «italiani» erano buoni, sfruttati e oppressi da stranieri violenti, selvaggi e stupratori – stranieri che di volta in volta erano tedeschi, francesi, austriaci o spagnoli. E anche questa è una nozione interessante, una di quelle che cancellano in un colpo solo i sentimenti di apertura all’Europa e al mondo che hanno positivamente caratterizzato l’azione politica degli ultimi quarant’anni”.
    Questo Banti se lo poteva anche risparmiare. Perché i “sentimenti di apertura all’Europa e al mondo” sono aria fritta buonista quando si sa – o si dovrebbe sapere – che i rapporti tra le nazioni obbediscono ad altre ferree leggi e ragioni (lascio a Banti indovinare quali) che non a quelle del vogliamoci bene. E quali frutti ha dato questa azione politica filoeuropeista degli ultimi 40 anni? Un’Europa delle banche, della finanza uber alles, dell’euro, dove libere a circolare sono solo le merci, dove a guidare la politica europea non è il “tutti insieme appassionatamente”, bensì alcune nazioni dominanti. Se questa di Banti è l’esegesi all’esegesi di Benigni (che in questi anni è diventato un comico istituzionale – di regime? – e che ha molti punti su cui divergo, ad es. l’esaltazione dei Savoia, il silenzio sul sud saccheggiato che ha subito l’Unità, la superficialità con cui ha messo insieme nel calderone Mazzini, Garibaldi, Cavour, i Pisacane, ecc. ecc.), be’, allora meglio quella del comico, che almeno mi ha fatto un po’ ridere (compreso il doveroso sputtanamento dell'”esegesi” leghista). Certo, del nazionalismo se ne sono appropriate le peggiori retoriche, da quella fascista a quella democristiana, ma bisogna anche renderci conto che più le retoriche politiche del secondo dopoguerra esaltavano l’idea di nazione, più l’asservivano a precisi interessi stranieri (i nonni dei quali, secondo Banti, non si dovrebbero nominare per il suddetto sentimento europeista), interessi europei ma soprattutto d’oltreoceano. E allora essere nazionalisti, ossia rivendicare l’autonomia politica e l’identità culturale italiana, di contro alle continue dimostrazioni di vassallaggio politico e culturale e di svendita allo “straniero” del patrimonio delle industrie pubbliche di punta compiute trasversalmente dalla “nostra” classe politica, a me pare un merito, non certo un peccato. Basta intendersi su quale nazionalismo si vuole e per quale nazionalismo si lotta. Ad ogni modo, oggi nel mondo, e soprattutto in America Latina, la cifra politica dei paesi che si stanno smarcando dall’assoggettamento alla bandiera a sbarre e strisce è il nazionalismo, ossia l’affermazione di una forte identità nazionale, che è alla base di ogni idea di libertà e di democrazia. Ma forse non si è capito, e aggiungo anche che, purtroppo, nemmeno Benigni ce l’ha fatto capire.

  66. @robertobugliani

    Che gli stranieri – cattivissimi – ci liberino dal berlusconismo. Peccato che non possano farlo per ragioni validissime che immagino tu conosca… Ma poi, scusa, quali sarebbero i valori del nostro nazionalismo?

  67. Sottoscrivo questo articolo, anche per una storia personale e di una parte della mia generazione. Da ragazzi, negli anni 70, mai avremmo immaginato di doverci o poterci raccogliere intorno a un’unità nazionale con l’inno di mameli. Era roba per democristiani, per repubblicani, per liberali. Così l’abbiamo vissuto. Abbiamo creduto, forse più di oggi, nel multiculturalismo, nell’abbattimento dei confini nazionali. Ora siamo qua a discutere di Sanremo e della nostra discendenza dagli imperialisti romani, e questo orgoglio retorico mi evoca echi simili al “popolo di Roma” che un demagogo declamava dal balcone di Piazza Venezia. Tutt’al più avremmo preso come nostro inno Bella Ciao. Per questo sottoscrivo anche questa frase della Santangelo:

    “la malattia sta nella performance di Benigni (…) oppure nel fatto che questo paese sia costretto a pendere dalla labbra di Roberto Benigni invitato al Festival di Sanremo (con tutto quel che significa per sua stessa natura il festival di Sanremo…) per riconoscersi?”

  68. la citazione di bugliani da banti mi fa venire in mente che in base alla sua logica (di banti) dovremmo pure smettere di parlar male del nazismo, del fascismo di franco, dei governi quisling di austria e norvegia, dei crimini spagnoli nei due mondi, dei crimini delle crociate ecc ecc. per non rischiare di cancellare “in un colpo solo i sentimenti di apertura all’Europa e al mondo che hanno positivamente caratterizzato l’azione politica degli ultimi quarant’anni” :-) l’unica cosa permessa è fare quello che ci consiglia la lega: parlare male, sempre e comunque, dell’unità d’italia ;-), che naturalmente ha i suoi crimini da ricordare, ma che poi, tutto sommato, dopo lacrime e sangue e 20 anni di fascismo, ci ha permesso di arrivare alla repubblica (sognata dall’antichità) e a stilare una delle migliori costituzioni europee che i leghisti vorrebbero usare unicamente al cesso …
    A proposito sembra abbiano beccato maroni in una casa a poco prezzo (lo dicevano a prima pagina stamattina anche se però l’ascoltavo distrattamente), se è vero ora salvini dovrà di nuovo blindare radio padana (come hanno fatto con l’annunziata) perchè non circolino i commenti di coloro che vivono in quei luoghi dove, tutto sommato, furono fatte le memorabili cinque giornate;-).

  69. Era roba per democristiani, per repubblicani, per liberali. Così l’abbiamo vissuto
    Certo che messa così hai ragione anche tu :-))) … ma non era cosa da democristiani (che non hanno mai avuto la bandiera nel loro logo) però è vero che i simboli italiani facevano venire la nausea, e non poteva essere altrimenti dopo 20 anni di fascismo (e un rimasuglio, il msi, con bandiera e fiamma), a meno che non si volesse esaltare e dare il giusto spazio al partito d’azione e alla Resistenza (e questo non piaceva nè a democristiani nè a liberali nè a repubblicani).
    Ricordo che nella resistenza brigate importantissime si chiamavano brigate Garibaldi, ricordo che gli uomini del partito d’azione (che venivano da Giustizia e libertà di Carlo Rosselli tra l’altro combattente anche in Spagna, al fianco, e amico, di tutti i grandi anarchici dell’epoca) erano ferventi (mi piace usare questa parola un po’ demodè) risorgimentalisti, dal loro interno tra l’altro è nata l’idea di federazione europea. Riguardo alla parola liberale (che non è liberista), senza nutrire nessuna simpatia particolare per tale parola, va ricordato però che anche Gobetti e anche Ernesto Rossi erano liberali.
    Nel risorgimento come in tutti i grandi movimenti di liberazione (che spesso purtroppo sono non solo patriottici ma anche nazionalisti) ci sono state molte cose condivisibili e altre orride, credo che benigni con i suoi errori e le sue soavità ci abbia anche voluto ricordato che non è mai bene buttare via il bambino con l’acqua sporca o anche solo lasciare che qualcuno lo butti via mentre noi guardiamo la luna.

  70. @Mauro Baldrati
    Ma magari avevamo torto, o almeno nel clima culturale e politico di allora lo stesso sentimento patriottico assumeva un altro valore e significato.
    Ma oggi, in cui i veri internazionalisti sono i globalizzatori, mafiosi di ogni tipo e di ogni risma, potremmo capire come internazionalisti non lo siamo mai stati, e il non essere patriottici è piuttosto il sintomo di un’incapacità culturale degli italiani di fare squadra, cioè la manifestazione di un individualismo estremo: ci manca solo il solipsismo forse.
    Riguardo alla multiculturalità o interculturalità, non dovremmo riflettere sul fatto che questa possa esistere solo a partire da culture? Mescolo culture d’accordo, ma ciò presuppone mi pare che tali culture esistano e si riconoscano. Badate bene, non che si riconoscano superiori alle altre, ma semplicemente si riconoscono come esistenti.
    Più ci rifletto, e più mi pare che questo odio per un sentimento nazionale mi appare derivi dalla stessa radice del pensiero libertario, che pure tanti vorrebbero ben separato dal liberalismo, ma che per me non lo è. Ma questo ci porterebbe lontano dai temi del post.

  71. Dopo aver letto questa interessante discussione – interessante benché non nuova, come sappiamo tutti – credo che sarebbe ancora più interessante, almeno per me e spero anche per altri, se NI facesse un questionario rivolto soprattutto ai suoi lettori e commentatori, senza ovviamente escludere i pensatori di professione che tuttavia mi interessano meno, diciamo un questionario nazional-popolare, per sapere che cosa vuol dire Italia per noi, che cosa ci è stato passato dalle nostre famiglie nonostante le revisioni critiche, o anche le non-revisioni. Come convive la memoria tramandata delle famiglie, se convive, con la tradizione della sinistra, pure quella tramandata, che sfascio ha prodotto il fascismo su quelle memorie, insomma, su quelle due sensibilità, una critica, iperscettica e a volte cinica e un’altra più empatica con questo paese.
    Forse non è più possibile avere un sentimento condiviso, la storia non è acqua, ma davvero io non lo so.
    Perché un francese di sinistra, per esempio, può ancora avere il senso della «patria» e non vergognarsene anche senza nascondersi i crimini della Francia colonialista e noi siamo così in imbarazzo?
    Qualcuno potrebbe rispondermi che la colpa di questa confusione sta nel fatto che il paese non ha fatto i compiti, ma non è vero, volendo quelli che i compiti li hanno fatti sono tra noi e possiamo leggerli quando ci pare. Ma compiti fatti o non fatti, il sentimento che abbiamo di fronte a noi stessi è confuso.
    Cosa vuol dire Italia per voi? Un ufficio anagrafico? Un caso? Una lingua artificiale, un dialetto naturale? Un disagio, una malattia, un imbarazzo, la piazza del paese, le memorie del bisnonno irredentista, lo strapaese della nonna? Cosa? Vi definite italiani? e se sì, perché? ragioni burocratiche? mero dato di fatto? non-lo-so-e-non-mi-importa?

    Insomma qualcosa di semplice:–)

  72. Vedo molta critica e poco buon senso.

    Decostruire può essere molto utile come molto dannoso.
    A mio modesto avviso sono più dannose le critiche mosse a Benigni, che quello che ha lui espresso.

    I suoi errori storici, mi spiace ma la penso così, sono del tutto accessori nel suo discorso.
    Ha preso la storia come strumento funzionale nell’esprimere qualcosa, non come fine.

    E se si dice che la strumentalizzazione della storia è una cosa pericolosa, qui bisogna applicare il buon senso. Credere che Benigni abbia voluto fare un elogio nazionalista, considerando tutto, mi pare assurdo.
    E’ come muovere un’accusa quando dice di amare l’italia e tutti gli italiani, senza ricordare però tutte le malefatte che molti di essi fanno e hanno fatto nella storia. Questo è accessorio, almeno per me; visto che se anche lui non lo dice lo so lo stesso. Buon senso. Buon senso.

  73. CUCINOTTA
    e più mi pare che questo odio per un sentimento nazionale mi appare derivi dalla stessa radice del pensiero libertario

    questa è una affermazione grossa che dovresti spiegare meglio … cosa intendi per pensiero libertario? quello di Pisacane, Malatesta, Fabbri, Berneri, Rosselli ecc. oppure quello di certi movimenti americani di oggi che sono contro lo Stato solo perchè contro ogni laccio e lacciuolo (alla berlusconi per intenderci)?

  74. @giorgia
    Nè l’uno nè l’altro direi. Pensavo a specifici aspetti della cultura post-sessantottina, una stagione che ho vissuto in pieno per ragioni anagrafiche (ahimè!). Però non posso argomentare ciò che dico in un commento. Qualcosa sta sul mio blog, qualcosa sul mio libro, ma ne scriverò di certto ancora.

  75. però non puoi appropriarti genericamente e con leggerezza di una parola che ha ben altri significati (e pure fortissimi significati) altrimenti la tua sembra una operazione berlusconiana tipo Ostellino che ci voleva spiegare e convincere che la frase (altamente politica) L’utero è mio e me lo gestisco io fosse né più né meno che l’equivalente del ciarpame di arcore e del diritto dell’utilizzatore finale di trombarsi ogni ragazza del suo reame, foss’anche minorenne.
    Forse sarebbe il caso di riprendere in mano Risorgimento, Resistenza e Sessantotto prima di ricoprirle tutte e tre di melma e marmellata mischiate a nostro piacimento.

  76. @Alcor

    Per me l’Italia resta un paese cementato da una forte emigrazione da Sud a Nord, soprattutto dopo la fine della seconda guerra mondiale. Uno stato a sovranita’ limitata, tenuto in ostaggio dal cattolicesimo vaticano e dalle mafie. Dopo venti anni di fascismo, fu colonizzato non compiutamente dai film hollywoodiani doppiati in italiano, oggi forse in declino irreversibile per decenni di berlusconismo attivo che non cessera’ di certo con la fine del suo maggiore interprete.
    L’Italia per me rappresenta negazione dei diritti di cittadinanza alle minoranze. Corruzione. Concussione. Abuso. Abusivismo. Un paese di vecchi abbarbicati alle loro carrozzine e figli ormai in pensione che ne aspettano la morte per ereditarne le briciole, se non soffiate loro all’ultimo momento da qualche badante spesso a nero.
    Per me l’Italia resta la terra dove sono nato ed in cui non mi sono mai riconosciuto completamente, nonostante le madonne agli Uffizi. Il paese in cui il mio progetto esistenziale e’ fallito.
    Da residente all’estero, non mi pesa piu’ di tanto essere italiano: c’e’ di peggio. Non cambierei per nessuna ragione al mondo passaporto. Sono molto legato ad una delle poche tradizioni culturali esportabili, quella enogastronomica ad esempio, fortemente danneggiata dai nostri “ambasciatori” nel mondo…
    Amo la lingua italiana, nonostante non si adatti a produrre il Romanzo.

  77. Non è poco dire «amo la lingua italiana», non vuol dire solo amo le parole, ma anche molte cose che in questa lingua sono state e vengono dette, non si può ridurre a un mero dato fonetico.
    Ma non è poco, anzi, mi incuriosisce particolarmente, neppure dire «Non cambierei per nessuna ragione al mondo passaporto.» Perché non lo cambieresti? Eppure ce ne sono di più comodi, che offrono magari maggiori vantaggi.

    Per me, e anch’io non ho un rapporto semplice e felice con questo paese, vuol dire anche alcuni racconti. Per esempio, in riferimento al tema del post, racconti sul mio bisnonno irredentista – che senz’altro, a seguire il discorso di Banti, qui sopra, sarà stato manipolato dalla propaganda nazionalista, ma era per l’appunto un bisnonno, un uomo ottocentesco – che per ragioni patriottiche ha impedito a sua figlia di sposare un ungherese, sul mio nonno pacifista che nella prima guerra mondiale sparava in alto per non colpire il nemico, sulla mia zia staffetta partigiana, ma anche sul mio zio fascista, racconti sul potere e la corruzione, racconti di emigrazione non Nord-Sud, ma Italia-Mondo. Racconti ai quali non aderisco acriticamente, come potrei, ma che compongono un disegno variegato e interessante.
    Alla fine mi pare che questa ricchezza di racconti contrastanti e spesso «ingenui» corrisponda in parte al nucleo di quello che potrebbe essere la mia idea di italianità, scomoda, non troppo chiara, ma non per questo meno concreta, e che volente o nolente condivido.
    Sarei in grado di trarne un disegno unitario? Certamente non da sola, certamente so di non potermi appagare ascoltando l’invocazione alla «liberté cherie» della Marsigliese, magari!, alla fine potrebbe capitarmi di scoprire che l’italianità consiste proprio nelle differenze e nelle ferite tenute assieme da un tessuto connettivo museale, o persino fasullo, o pseudo-mitologico. O in una «malattia dello specchio» che ci porta a inorridire di fronte alla nostra immagine riflessa. E ovviamente mi chiedo perché in America – una «grande democrazia», certamente, ma anche un posto dove regna l’ingiustizia sociale – si possa fare un film come Il cacciatore dove alla fine tutti i russi immigrati cantano l’inno nazionale senza che il regista sia sepolto da una valanga di pernacchi, e qui da noi no.

    Ma mi interessa di più ascoltare gli altri.

  78. si ama, però così mi sembra che tu faccia le lodi dell’intellettuale cosmopolita, non quello responsabile culturalmente e politicamente che avremmo voluto (e quindi anche con grosse connessioni e responsabilità nazionali, che non vuol dire nazionalista), ma quello pre-nazione del tutto autosufficiente e slegato da qualsiasi dovere e responsabilità nazionale (insomma il grande intellettuale cattolico o imperiale;-) o il chierico vagante)
    Forse benigni voleva (non so se coscientemente o meno) parlare anche di questo. Tra l’intellettuale grettamente localistico e leghista (o neoborbonico che è lo stesso) che deve sempre lamentarsi di mancanze ad paesello suo, e quello cosmopolita vecchio stampo (ambedue anti-nazione e forse reazionari), c’è ancora posto per un intellettuale italiano nazionale sì, ma aperto senza pregiudizi a tutto il mondo?

    mmmm a me sembra che ci sia piuttosto un intellettuale piccolo borghese completamente sradicato e che sembra quasi vergognarsi di se stesso e che per questo è estorofilo a prescindere, un intellettuale che per ipercorrettivismo non direbbe mai nike (ma ormai solo naik) e che rischia di dire il devid di michelangelo ;-).

  79. Quanti, nei necrologi stampati per Pisacane o in intimi sfoghi, avevano deprecato il suo vano sacrificio! Perfino Enrichetta: “E’ molto crudele che la sua morte non ha giovato menomamente al nostro paese”. Mazzini solo misurava e capiva.
    Il viandante ansioso di varcare il torrente getta pietre una sull’altra, nel profondo dell’acqua, poi posa sicuro il suo piede sulle ultime, che affiorano, perché sa che quelle scomparse nel gorgo sosterranno il suo peso.
    Pisacane anche lui, pareva sparito nel nulla. Ma sulla sua vita, sulla sua morte poteva posare, e posa, uno dei piloni granitici delledificio italiano

    da Nello Rosselli, Carlo Pisacane nel risorgimento italiano.

  80. @alcor

    L’Italia è primaditutto una Repubblica fondata… in ritardo di quasi cento anni. Peraltro dopo un referendum vinto per un pelo e sul quale sussistettero forti dubbi di brogli; il quale, del resto, dal Lazio in giù fu favorevole o favorevolissimo alla monarchia in tutte le regioni…

    L’Italia, per via del ritardo, nacque analfabeta, sostanzialmente in mano meno ai grandi partiti di massa che ai piccoli gruppi di potere composti da persone alfabetizzate che facevano fatalmente gli interessi della loro classe di provenienza (e di appartenenza). l’Italia, insomma, è il paese dove il minoritario partito d’azione ha avuto più peso nelle decisioni del quasi maggioritario partito comunista; come ora il partito di Repubblica – che in questo momento ha la veste del movimento Savianesco denominato Libertà e Giustiza – ha più peso nelle decisioni del partito di massa che si definisce riformista di centrosinistra, in questo momento denominato Partito Democratico.

    L’Italia, temo, è il paese che dà cittadinanza piena solo a pochi dei suoi cittadini, discriminando fortemente per provenienza sociale, età, sesso e preferenze sessuali, proprietà della lingua dominante, cultura, religione (è in discussione ovunque il diritto di pregare, con la scusa della Lega, ma nessuno muove un dito a favore dei pochi sindaci del PD favorevoli alla costruzione di nuove moschee).

    L’Italia è il paese che ha delegittimato i suoi tanti popoli attraverso una sciagurata politica di unità linguistica che di fatto, a prescindere dall’alfabetizzazione, dichiarava ignoranti e caproni i suoi docili cittadini, al fine di meglio dominarli coi saperi e con la solita cultura che non a caso fa ribrezzo a tutti quanti (come quasi sempre quelli del popolo fanno ribrezzo a quelli della cultura per via che sono cafoni e hanno gusti di merda e votano politici impresentabili e ci piacciono lele mora belen e corona invece che mario martone daria bignardi e luca sofri).

    evvia evvia…

  81. @ ama (e non solo),
    i valori nazionali, per dirla in sintesi, sono quelli che ci fanno sentire liberi (e se non fosse retorico direi anche orgogliosi) nel paese dove si vive, un paese dove le decisioni politiche ed economiche sul futuro della nazione siano prese in autonomia dai rappresentanti del popolo, e non già eterodirette, dove la sovranità nazionale sia una realtà da rinnovare tutti i giorni e non una barzelletta o un rimpianto. Ma forse questi nostri valori nazionali non sarebbero accettati nel paese in cui tu attualmente vivi, che, per dire due cose tra le tante, ha in mano Piazza Affari e le mani le ha messe, dopo una certa riunione del 2 giugno 1992 (presenti, tra gli altri, Ciampi e Draghi, due dei beniamini della “””sinistra”””) sul 48% delle aziende italiane, svendute “per risanare il debito pubblico” dopo la loro privatizzazione e la conseguente manovra speculativa sulla lira diretta da un certo Mr Soros (proprio quello delle successive rivoluzioni colorate). O che forse Goldman Sachs, Merril Lynch, Salomon Brothers, Rothschild, i manovratori di allora (e qualcuno anche di oggi) hanno nomi italiani?

  82. @ georgia,
    e chi se la ricorda più la nike? oggi tutti diciamo naik, come le scarpe che portiamo ai piedi
    se chi si vergogna (almeno un po’) che – per fare due esempi attuali tra le migliaia – addirittura una legge dello stato italiano sia sempre citata con un nome inglese (stalking) o che in questo paese sia scomparsa dal dna linguistico una parola come “chiacchiere” e al suo posto ci sia gossip, sia tacciato negativamente di nazionalista, ebbene io non ho problemi a definirmi tale

  83. @robertobugliani

    si ricordi bene che le imprese privatizzate o svendute erano imprese che perdevano danaro a danno di tutti i contribuenti (a parte l’ENI, che però era un oscuro centro di potere dove avveniva di tutto a danno della libertà di tutti noi). se però vogliamo adeguarci alle teorie cospirative, dobbiamo anche ricordarci che siamo (eravamo?)un paese industriale grazie al piano Marshall e che in cambio abbiamo ceduto se non la sovranità nazionale quella militare agli USA, come sa bene D’Alema che da presidente del consiglio di sinistra, il primo, fu costretto a dare l’assenso per bombardare la Serbia (che ce la farà pagare, perché, nel bene o nel male, i serbi sono un popolo).

  84. Sono rimasta basita di fronte a quest’articolo sul Manifesto, che peraltro non leggo e non leggevo nemmeno in Italia, pur considerandomi di sinistra. Mi chiedo, ma abbiamo visto lo stesso intervento?? Io, da italiana all’estero, mi sono commossa di fronte all’ardore di Benigni per l’Italia. Non mi è per niente passato per la testa che seminasse pericolosi messaggi xenofobi. Ma proprio per niente. Del resto, si dice che quando una persona indica la luna con il dito, lo sciocco non guarda la luna, ma il dito. Benigni, emozionato, punta in alto e ci dice: io amo l’Italia, e potete amarla anche voi. Il critico non coglie il messaggio, si limita a guardare i suoi errori di grammatica, o l’inesattezza di una data, o l’assenza di quello che lui avrebbe detto o preferito dire.
    Gli italiani hanno bisogno di riscoprirsi patriottici. Non il patriottismo cialtrone della Lega. Hanno bisogno di guardare in alto e di pretendere di più, iniziando con il dare di più, con l’aprirsi alla possibilità che l’amor patrio non è reazionario ma salutare e necessario. Guardate alla rivoluzione in atto in tanti paesi arabi! Gente che muore chiedendo democrazia. Noi che ce l’abbiamo (almeno in teoria), e ci sputiamo sopra. Perchè siamo stanchi, viziati, insoddisfabili, arricchiti, egoisti, cavillosi.
    Sono appena rientrata da un viaggio Turchia, dove ho visto centinaia di bandiere rosse, sulle rive del Bosforo, sui traghetti, sui monumenti. un’occasione per riflettere: ma perché l’Italia non ama la sua bandiera? Perché la tira fuori solo ai mondiali di clacio? In Israele, la bandiera è venerata, esposta sulle case, venduta ai semafori durante la festa dell’indipendenza. Stessa cosa negli Stati Uniti, e in tanti altri paesi. Mia nonna ivnece, in Italia, ha un bandierone tricolore di tela che ammuffisce in soffitta, perchè – mi ha detto – non c’è mai l’occasione per tirarlo fuori, perché “non va più di moda”.
    E poi sbuca il Benigni e dice: non vergognatevi ad amare la bandiera, a voler capire l’inno nazionale. E’ un vostro diritto! Perchè amare la patria è un sentimento nobile, è un abbracciare e non un escludere. Perché è un dovere ricordare, specie di fronte alle bassezze che dobbiamo sopportare nella classe politica attuale, la possibilità di un’alternativa, l’eroismo di chi la patria l’ha sognata e ha combattuto per realizzarla, l’umiltà di chi è uscito dalla politica più povero di prima, invece che arricchito a dismisura. E scusate se è poco, con i tempi che corrono. Bravo Benigni!

  85. @Giorgia
    C’hai perfettamente ragione, e difatti ho esitato ad aggiungere quell’ultima frase, probabilmente facendo la scelta sbagliata. Ma togliamo di mezzo berlusconi, almeno questo. Non capisco come si possa dire che Berlusconi sia libertario, i libertari di oggi non hanno il mito del denaro del successo, hanno anche un grande rispetto per gli altri direi, davvero non vedo elementi di contatto. Ciò che mi premeva esprimere, ma ancora una volta senza avere lo spazio per argomentare, è che la nozione di libertà che passa a sinistra, altrove mi interessa meno, è, detta parodisticamente, quella di scegliere il colore della propria maglietta. In termini più seri, penso bisognerebbe aprire una riflessione su un concetto di libertà che da’ per scontate le opinioni individuali e trascura, direi dimentica, come quella stessa opinione si è andata formando. Ma, trascurando la genesi delle nostre idee, non si capisce come nella nostra epoca, come non mai inneggiante alla libertà, si abbia il mondo più omologato che ci sia mai stato.

  86. Benigni è intervenuto nel festival di Sanremo che anticipa di poche settimane il centocinquantenario, ovvio impostare la sua esibizione sull’inno nazionale. Le parole sono quelle dell’inno. Certo, i concetti cui rimandano possono essere “interpretati” in una certa misura. Ma lì nascono e lì si legittimano. Chi ignora il peso del risorgimento in nome di un europeismo pronto da consumare, ignora una parte di sè. Per noi può essere retorica il ragazzino che canticchia Fratelli d’Italia e si chiede cosa significhi non esserci più domani, ma tanti hanno dato questo senso alla loro morte. E allora carneficina sia? No, non deve essere un elogio al sangue, ma alla libertà, alla ricerca di comunione e alla voglia di appartenere a un territorio. Questo non è nazionalismo becero ma orgoglio nazionale. Un orgoglio che non ci fa sentire superiori al resto del mondo, ma neanche inferiori. Purtroppo, quello che davvero ci timbra tutti come italiani è l’atavica voglia di criticare. Sarà un bene?

  87. Guardate che io vivo, non senza problemi e difficolta’, a Londra, un non-luogo, una zona franca, non in Gran Bretagna. Se un giorno dovessi stufarmi di questa dimensione non escluderei di trasferirmi a Shanghai. Col passaporto italiano. Non immaginate neanche quanti anni indietro siamo rimasti nella diplomazia con la Cina. Immensa.
    Ovviamente la mia scelta di vivere in Inghilterra non e’ stata casuale. Fin da ragazzino, del tutto autonomamente, mi sono riconosciuto in certe conquiste dell’era vittoriana. E poi, senza pressioni o complessi, in gran parte di quello che nel paese in cui risiedo oggi e’ accaduto dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso. Entri in una libreria, vedi il faccione di Darwin e ti si apre un mondo, sentendoti alla fine un piccolo Oliver Twist alla fine della catena evolutiva nel paese di Pinocchio.
    Non so, se vivessi ancora in Italia la mia priorita’ assoluta sarebbe tenermi alla larga da tutto il “ciarpame senza pudore” che ruota attorno all’industria culturale (non sempre, spesso grottescamente esterofila e al tempo stesso radicata alla sua dimensione nazionalpopolare, la sola possibile) e alla politica. Miope. Ottusa e a sovranita’ limitata. Comunque all’estero, ho viaggiato molto, ho sempre continuato a vivere come facevo in Italia, paese dove basta spegnere i media di regime per vivere in una terra di nessuno, popolata da gente divenutami – sotto il berlusconismo – intollerabile, non riconoscendomi neanche nella retorica dei suoi deboli oppositori.
    Perche’ al momento non ho alcuna intenzione di cambiare passaporto? Perche’ tutto il mio ecosistema interiore, il mio sguardo sul mondo e le mie eventuali psicopatologie, di sicuro tutte le mie DICOTOMIE, sono nate e cresciute in Italia. E mi portero’ tutto dietro ancora per decenni. Amo tutto quello che ho archiviato nella mia mente nella mia lingua madre. Il sistema linguistico con cui ho decodificato il mondo. Vedremo in futuro i frutti di quello che sto immagazzinando nella lingua e quindi nella cultura del paese dove mi espleto adesso.

  88. @ larry massino,
    se le imprese pubbliche svendute erano così scalcinate e perdevano tanti soldi, perché non ha visto l’ora di comprarsele la finanza angloamericana? Nessun complotto direi, i fatti ci sono, la riunione sul Britannia ha avuto anche delle interrogazioni parlamentari, e tempo fa l’ha citata, un po’ subdolamente, anche Tremonti da Santoro (perché pare che anche lui ci fosse, da “commercialista”). Quanto a D’Alema, sfonda una porta aperta: è lui ad aver sdoganato gli Usa in Kosovo, facendo una guerra osteggiata da Onu e Russia, inventandosi una urgenza umanitaria ed esportando la “democrazia” a suon di bombe. Ha regalato agli Usa una enclave in una posizione geostrategica che nemmeno nei loro sogni più rosei si sognavano di avere. E se oggi il Kosovo è un narcostato peggio della Colombia, dove si esportano organi di cittadini serbi, chi dobbiamo ringraziare, tra gli altri?
    Quanto al modello trasversale Usa, legga una qualsiasi intervista o ascolti una qualsiasi conversazione tv di un qualsiasi rappresentante della “sinistra” italiana: se costui non cita almeno una volta gli Usa come esempio politico e sociale, le pago volentieri da bere.

  89. Comunque per farla breve e poi vi saluto… Non si puo’ fondare del sano patriottismo solo sugli ideali del Risorgimento. Molti dei nostri valorosi antenati sono morti per fare l’Italia ma il risultato resta assai deludente. Siamo una repubblica democratica non pienamente compiuta. Lo ripeto a sovranita’ limitata. Ed io trentenne non posso cancellare i gravissimi danni dei regimi, in ordine cronologico, prima fascista, poi democristiano e adesso berlusconiano.
    L’inno nazionale poi e’ oggettivamente orrendo, quindi non puo’ suscitarmi niente di buono. Lo si puo’ cambiare? Boh! Di sicuro nessuno puo’ impormi di cantare quel testo incomprensibile con lo spernacchiamento delle fanfare.
    Abbiamo una bellissima costituzione spesso tradita nei suoi ideali laici di eguaglianza di fronte alla legge. Io da solo, disinnescato, che posso fare, lo scemo del villaggio? No, vi lascio resistere in patria, vi sostengo fiducioso come posso, col risultato che poi mi tocca guardare la Minetti alla CNN ed il senso di impotenza mi assale.

  90. @robertobugliani

    Sia chiaro, se uno stato e’ a sovranita’ limitata non puo’ che svendersi alle cordate estere. L’inno e la bandiera non c’entrano.

  91. devo davvero capire che cosa si pretendesse dal forno dell’ariston da Merendi Canali e Canali e Bagnini se non quello che han detto e fatto! sveglia! lì si fa della roba mediocre, per tutti, e si dicono cose mediocri, costruittive. lasciamoci la speranza per favore

  92. ROBERTO BUGLIANI
    libertari di oggi non hanno il mito del denaro del successo, hanno anche un grande rispetto per gli altri direi

    non mi fraintendere :-), certo se intendi il movimento libertario che nasce appunto da pisacane, malatesta, fabbri, rosselli e tanti svariati movimenti anarchici di oggi, hai perfettamente ragione, ma esiste un movimento in america (e anche in italia ha un suo rappresentante e una rivista tra l’altro regolarmente conservata nella biblioteca Serantini di Pisa, ora però non ne ricordo il nome) che si definisce anarchico e libertario, e in effetti è ferocemente contro lo Stato, ma lo è solo perchè vede lo stato come un limite anche al capitalismo puro, sono quelli del: niente lacci e lacciuoli, lo Stato non deve mai interferire e intervenir,e sia nel campo economico che in quello sociale, il più debole soccomba se non ce la fa … sono indubbiamente simili a certi berlusconiani, la cosa che da loro li differenzia è che questi anarco-capitalisti libertarian sono ferocemente anti-gerra (la guerra danneggia sempre l’economia privata) infatti erano anche loro una componente del variopinto movimento pacifista.

  93. @robertobugliani

    in un contesto capitalistico ci sono tanti motivi per cui vale la pena comprare un’azienda, magari quello di togliere un concorrente dal mercato… ma qui la questione è diversa: per farle rendere, le aziende svendute, andavano amministrate in un altro modo, licenziando in massa i dipendenti, primaditutto, cosa che lo Stato italiano non poteva certo fare. a me risulta che le ferrovie italiane abbiano adesso un quinto dei dipendenti di 30 anni fa. lo stesso l’ENI. veda un po’ lei…

    Detto questo, sono contento che gli uomini del PD e D’Alema in particolare siano filoamericani, meno contento che l’attuale presidente del consiglio sia filorusso. infatti per me gli USA non sono il male, anche se vorrei limitassero di molto il loro interventismo militare, al quale, non lo dimentichi nessuno, dobbiamo però la nostra democrazia, sgangherata ma democrazia. e dobbiamo tanto del nostro immaginario, che se gli si toglie Sex, Drugs And Rock N’ Roll, jeans, fumetti, cinema, mc donalds e coca cola rimane le sagre paesane…

    Né penso che il male siano il capitalismo o lo la globalizzazione, che a me pare stia agendo nel senso della ridistribuzione delle risorse a favore di popolazioni prima quasi escluse dal consumo, Cina e India in testa. Certo, tutto questo aumenta in modo sproporzionato la quota di ricchezza spettante ai capitalisti, ma che si deve fare, continuare ad escludere miliardi di persone dal circolo alimentare di base in nome di che cosa? Si tratta di miliardi di persone che anche semplicemente si nutrissero con uno standard minimo basato sul calcolo delle calorie o delle proteine, toglierebbero nutrimento ai vecchi popoli privilegiati, ma non il pane dalla bocca, semmai gli avanzi (per ora!) e magari togliessero loro la bava dalla bocca….

    La storiella del Britannia, glielo dico in pace, viene usata da chiunque per fare propaganda politica a favore di questa destra e anche di una peggiore, mi riferisco alla destra identitaria di Forza Nuova, Casa Pound e limitrofi. niente di male se lei parteggia per quelle robe politiche lì, ma così stanno le cose.

    Infine, che uno dei capi del socialismo europeo, Massimo D’Alema, sia il responsabile addirittura dei commerci di organi in Kosovo mi pare troppo. Ma lei che avrebbe fatto, si fosse trovato in quel momento presidente del consiglio, avrebbe lasciato che il massacro continuasse all’infinito?

  94. Ho vomitato quando il comico nazionale ha dichiarato che “il risorgimento era stato fatto dal popolo” e credo abbia vomitato anche il cadavere di Gramsci. Però la gente intorno a me applaudiva

  95. la rai è una televisione governativa (non nazionale, come si dice) di un paese in cui pare che i cittadini abbiano bisogno di manifestazioni commemorative stabilite dal governo per ‘riscoprire il patriottismo’.
    tutto questo è per sua natura legato a forzature, che facilmente si venano di retorica,
    pensare questo non è essere chiusi o sospettosi, né fingere di essere ‘migliori’ o ‘più colti’ di coloro ai quali queste cose non insospettiscono. è prendere posizione contro un modo malato di procedere del paese.
    così mi pare.
    una cosa sensata e profonda che potrebbero fare le persone amate e in vista (come benigni è, come è saviano, come è fo) è restare fuori dal circo, spiegando il perché declinano l’invito, e parlare alle persone in altre sedi, in altro modo, con altri mezzi. che non li costringano a circoscrivere riflessioni importanti in tempi televisivi. invitare ad ‘amare l’Italia’ tra una pubblicità a un prodotto di un’azienda del premier e una donnetta diventata famosa per essere stata l’amante di uno invischiato con lui mi pare piuttosto insensato e superficiale. “ma così arrivano a milioni di persone” per me non vuol dire molto, perché non capisco: ma cos’è che gli arriva, a ‘sti milioni di persone? non sono milioni di persone, sono audience.

  96. @AMA

    Io invece della cittadinanza me ne frego assai, e cosi’ pure della lingua italiana (vivo tra Londra e la periferia di Parigi).
    E’ una cittadinanza di serie A perche’ ti permette di circolare in Europa, per questo me la tengo stretta, ma devesse rivelarsi un problema, traffichero’ per trovarmene un’altra (la doppia cittadinanza e’ comunque cosa ben accetta di solito).
    La mia compagna (francese) sarebbe disposta a sposarmi solo e solamente se dovessi avere un bisogno vitale della sua cittadinanza – condivido il pragmatismo, e la prudenza.

  97. interessante il commento di jacopo. E’ nato il cittadino europeo (un po’ menefreghista come quello italiano:-)!
    Siccome in Italia nasce addirittura prima il cittadino europeo di quello italiano (che ancora deve nascere), gli italiani ora sono quelli che si adattano meglio alla nuova cittadinanza allargata.
    Del resto l’italiano è sempre stato extranazionale:
    I cattolici sono universali,
    gli anarchici cittadini del mondo
    i comunisti internazionalisti,
    i grandi intellettuali italiani (per la maggior parte dei secoli) chierici vaganti cosmopoliti

    … Come sempre è successo in Italia la cultura è nata prima dell’istituzione e della nazione e quindi anche i cittadini europei sono naturalmente nati prima dell’EU.
    La cosa è indubbiamente molto interessante.

  98. @Larry Massimo
    Capisco il senso della tua argomentazione (ma in rete non si usava il tu? Ditemelo, che eventualmente mi adeguo), e sarebbe vano entrare nel merito, perchè il punto sta tutto nelle premesse.
    In particolare, dire che la ridistribuzione verso nuovi paesi, i cosiddetti emergenti (quindi non tutti gli altri, sia chiaro!) è il frutto della globalizzazione, anzi di questo specifico tipo di globalizzazione, ha un suo fondamento sperimentale, ma lascia irrisolta la questione se questo è l’unico mondo possibile e questa sia l’unica politica possibile.
    Questo mi pare tu lo dia per scontato, con il che hai già abbracciato lo sviluppo capitalistico come l’unico modello possibile.
    A me va bene redistribuire, va bene che altri popoli si siedano alla lauta mensa a cui noi stiamo seduti da tempo. Va meno bene però che tanti altri restino fuori, che anzi questi paesi emergenti si comportino verso i più reietti come noi abbiamo sempre fatto (vedi la politica cinese in africa, di generalizzare lo sfruttamento di quelle terre con monocolture ed altro), non va affatto bene che tutto ciò proceda senza alcuna attenzione per le compatibilità ambientali come non va altrettanto bene che si possa sacrificare al Dio PIL lo stesso uomo, che presumo dovrebbe essere il destinatario dei vantaggi della politica, dell’economia e della tecnologia.
    Le cose stanno così, che se l’umanità va avanti così per alcuni decenni, questo pianeta diverrà inospitale, questo non viene messo in dubbio da nessuno, ma si preferisce rimuovere il problema, al momento si vedrà, pensano questi grandi strateghi capitalistici. Se questa non è follia, ditemi voi cosa è la follia.

  99. Forse è già stato detto, nel caso mi scuso: mi sembra che molti non tengano conto del fatto che Benigni ormai non si pone più (o non solo) come un burattino o un buffone, ma come un maestro (viene chiamato così), che ogni rara volta che compare fa lezioni sui temi più alti, dall’amore, a dio, alla poesia, cita Dante a memoria e lo racconta al popolo. Quindi, chi assiste alle sue performance senza armi per difendersi, prende per oro colato quello che lui dice.
    L’unica pecca dell’articolo di Banti può essere la sua genericità. D’altra parte in poche cartelle non è facile argomentare le ricerche di una vita; conoscendo un po’ Banti (sono uno studente dell’università in cui lui insegna), credo che abbia preferito disinnescare subito la mina e che abbia scritto sull’onda della personale irritazione.
    Trovo meritorio che un accademico, invece che rispondere alzando le spalle o lisciandosi i baffi, di fronte ad un intervento come quello di Benigni, sia interessato ad intervenire nel discorso pubblico e che cerchi di far filtrare presso l’opinione pubblica cose ormai scontate a livello scientifico (come che la nazione italiana esiste solo dall’Ottocento, come tutte le altre nazioni, e che i romani non sono nostri padri più di quanto non lo siano i longobardi)
    Se qualcuno è interessato ad approfondire “la sua logica” può leggersi il suo libro “Il Risorgimento italiano”, oppure, se si trova vicino a Pisa, venire a seguire i suoi corsi, giovedì e venerdì dalle 10 alle 12 al dipartimento di storia in via Pasquale Paoli, nei quali argomenterà eccome. E vi assicuro che non è banale.

  100. Non ho mai apprezzato Benigni nelle sue imprese esegetiche, tanto meno nell’ultima occasione. Credo però che tutto questo livore sia ingiustificato; non è forse merito suo se ci ritroviamo qui, oggi, a parlare del nostro inno nazionale e della nostra identità? La cosa che mi incuriosirebbe discutere è: è così disdicevole cercare di tracciare i confini della nostra identità?, identità è una parola di ‘destra’ della ‘differenza’ di ‘odio’? Ma non è proprio il motto dell’Unione Europea che mette al centro la diversità dei popoli, degli Stati che la compongono? Quel “Uniti nella diversità” che cosa ci rappresenta? Personalmente credo che parlare di identità sia differente rispetto a parlare di Nazione, potremmo fare un’indagine etnografica su questi 120 e passa interventi, scoprendo quella che è l’identità comune di certi commentatori. Tornando al fenomeno Benigni, quando si analizza un testo, solitamente, si dovrebbe tenere conto di 1) contesto 2) codice e sottocodice 3) identità dell’emittente 4) identità del ricevente 5) medium; Benigni, ahinoi, produce dei messaggi in linea con questi parametri, perché la sua professione prevede questo, un docente di storia, mi dispiace, non ha le skills necessarie per arrivare a Sanremo e parlare di quello che studia.

  101. Un saluto a Jacopo Galimberti. Fra Londra e Parigi? Sei messo peggio di me!

    Georgia, rilassati un attimo… Anche un italiano che sceglie di rifugiarsi nella campagma Toscana fa una scelta cosmopolita, no?

  102. L’azione educativa,di soggetti impegnati,e talvolta geniali,(come Benigni),che usano,gli attuali mezzi, dello spettacolo,o prime forme artistiche,dell’uomo, come il Teatro, è la più efficace,per contrastare,malattie come il Berlusconi- smo,od altri ISMI,come la commedia dell’arte nel 500.Mentre l’intelletto, fine
    a sestesso(vedi sopra!)coltiva solo, L’ingnoranza della gente comune(critica,
    solo per Gelosia o arroganza,senza mediazione costrurtiva!) senza nessuna
    azione di pensiero educativo,nel loro ambito,per mancanzaq di contatto,con
    la gente(che non capirebbe una virgola,delle loro lucubrazioni).La cultura dell’ellite,della cosidetta avnguardia,che non fa niente,neanche, per togliere,sofferenza, e dare gioia,alla gente,aspettando che scoppì la rivo- luzione.SIETE UN’ALTRO ASPETTO DEL BERLUSCONISMO,LA FECCIA DEL FUTURO DELL’UMANITA’.E’ una fortuna che ci siano ancora i geni come BENIGNI

  103. da modesto e ignorante elettore di sinistra (da sempre), provo un certo fastidio a leggere la critica dello storico prof. Banti in merito alla esibizione di Benigni al festival della canzonetta!
    Certo questo Benigni mi piace molto meno di quello dei tempi di L’altra domenica (o forse ero io che ero diverso, mah?) ma non ho trovato la scelta del contesto e dell’argomento insensata o superficiale al punto da stimolare il sarcasmo e la puzzetta sotto al naso, di qualche pur valente storico.
    Non credo che l’obiettivo fosse quello di riaccendere uno spirito nazionalistico chiuso e retorico, io per lo meno non l’ho percepito così; e comunque se la cosa ha attecchito nella gente, addirittura anche in “innumerevoli politici e commentatori di sinistra, molti dei quali anche ex comunisti” significa che nella nostra cultura europeista c’è qualcosa che non va; lo storico fa bene a esprimere le sue perplessità, ma è sicuro che, alla luce di questi riscontri popolari, non ci sia una responsabilità anche di chi la storia ce la deve raccontare davvero?

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marco rovelli
marco rovelli
Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.